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“Allora vediamo… dei ravioli coi gamberi, del riso fritto, un po’ di maiale in agrodolce …e una fetta di Carrot Cake, grazie!”

Cosi declinavo una delle mie prime ordinazioni  in terra singaporiana, davanti ad una delle tante bancarelle che ancora non sapevo che sarebbero diventate il nostro appuntamento quotidiano, nella patria dello street food che mi spalancava le sue porte, tre anni fa. L’approccio con la cucina orientale si rivelava meno confortante del previsto, con una teoria pressoché infinita di portate dai nomi incomprensibili e dagli ingredienti sconosciuti e ordinare, le prime volte, significava solo provare a riconosce qualcosa di noto e affidarsi alla buona sorte. La stessa che, quel giorno, mi aveva portato davanti a uno stall che vendeva ravioli e – incredibile a dirsi – la Carrot cake.

Che ci fosse qualcosa che non andava avrei dovuto intuirlo dalla replica del venditore che, alla parola “fetta” aveva risposto “porzione”.

Ma le insidie linguistiche erano all’ordine del giorno e fra le assurdità del Singlish ci poteva stare, che fetta si dicesse porzione. L’importante era poter affondare la forchetta in tre strati di morbida torta alle carote, annusare il profumo delle “mie” spezie, assaporare fino all’ultima briciola il mio sinonimo di comfort food, sperando di trovare anche dall’altra parte del mondo un pezzo di casa mia.

E quindi, lascio a voi immaginare la delusione, una volta avuto nel piatto quello che per i Singaporiani (e assieme a loro i Malesi, i Taiwanesi e i Cinesi di  Chaoshan ) è la Carrot Cake: una specie di omelette a base di farina di riso e radici (di solito daikon), servita in due versioni, che nulla ha della sua omonima.

Il nome Carrot Cake risale agli anni Sessanta e deriva dalla confusione fra il nome Hokkien del daikon (chhài-thâu, “radice”), e quello della carota (âng-chhài-thâu radice rossa). Anche se il piatto è diffuso in altre zone dell’Indocina, è solo a Singapore che si chiama cosi: altrove, mantiene il suo nome locale mentre qui, con la storia che ufficialmente si parla inglese e ufficiosamente si storpia tutto, ecco che anche un cinesissimo Chai tow kway  (pronuncia” ca-toh kei) è diventato Carrot Cake (pronuncia reale Ca- ot kei), con buona pace di Ruth Wan, autrice di uno dei più celebrati best sellers sul cibo di strada locale, intitolato appunto No Carrot in Carrot Cake.

La storia del piatto è tipica della maggior parte delle ricette singaporiane, importate dai Paesi vicini e poi adottate ed amate come proprie. L’origine e’ da ricercarsi nella Cina Meridionale che per secoli fu il serbatoio dell’immigrazione cinese e precisamente nella regione del Chaoshan, terra di provenienza della comunita’ dei Teochew: tutti nomi che a voi non dicono niente, ma che qui incutono rispetto, visto che quando Singapore venne fondata come colonia britannica, agli inizi del 1800, contava solo 150 abitanti, di cui 30 cinesi. I primi a popolarla, assieme agli Hokkien, furono proprio i Teochew che, fra le altre cose, portarono anche una ricetta di una torta di riso (mi gao) o di fecola (gao guo) che veniva marinata in  salsa di soya o salsa di pesce e poi fritta con uova, ostriche e gamberi.

Negli anni Cinquanta, questa versione si semplificò in una torta di riso fritta e condita con salsa di soia, la cui bontà stava tutta nella freschezza: il riso infatti veniva macinato all’istante, per la strada, con macine rudimentali azionate dagli stessi venditori che poi provvedevano a renderla commestibile. La svolta avvenne negli anni Sessanta, quando uno di loro decise di inserire del daikon nella torta di riso, trasformando la versione nera in quella bianca, più delicata e più elegante. Da quel momento in poi, i partiti si divisero, fra gli estimatori dell’una e quelli dell’altra, ma la Carrot Cake dilagò in tutti gli Hawker market, diventando il cibo della colazione come quello del pranzo e uno dei simboli della storia di Singapore, al punto da venir citata da uno degli esponenti del Partito di Maggioranza, in uno dei suoi discorsi al popolo.

WHITE CARROT CAKE

Per la rice cake

una radice di daikon del peso di circa 350 g
180 g di farina di riso
40 g di farina di tapioca
625 ml di brodo di pollo o vegetale
2-3 spicchi d’aglio, tritati
un filo d’olio

Mondate e sbucciate la radice di daikon, con un pelapatate e grattugiatela finemente. Lessatela in acqua bollente per 4-5 minuti, fino a quando diventera’ traslucida. Scolatela e mettete da parte.

Mescolate le due farine con il brodo, in un composto liquido e senza grumi.

Scaldate un filo d’olio nel wok e fatevi imbiondire l’aglio. Versatevi poi il mix di brodo e farina e portate quasi a bollore. Unite il daikon e versate tutto in un cestello per il vapore o in una teglia. Cuocete al vapore per 1 ora circa, poi mettete in frigo tutta la notte.

*la ricetta originale non prevede sale, per via del brodo: il mio consiglio e’ sempre quello di assaggiare e poi eventualmente regolarvi

Il giorno dopo, tagliate la torta a fette e poi a cubetti di circa 1 cm.

Per la Carrot Cake

meta’ della rice cake, a cubetti
1-2 cucchiai di daikon sottaceto
3 uova
2 spicchi d’aglio, tritati
Fish sauce
Peperoncino fresco a piacere
Erba cipollina
Pepe bianco
Sale
Olio

Versate un filo d’olio nel wok e fatelo scaldare. Unite poi i cubetti di rice cake e fateli dorare, saltandoli in padella. Aggiungete poi l’aglio e il daikon sottaceto, tagliato a listarelle e fate insaporire, unendo se il caso altro olio.

Sgusciate le uova in un piatto, sbattetele leggermente, insaporite con sale, eppe e peperoncino  poi versatele sopra tutto e fate rapprendere. Voltate la frittata e terminate la cottura. Servite a fette, spolverate di abbondante erba cipollina fresca (e coriandolo, se piace).

Testi e fotografie a cura di Alessandra Gennaro

1 Comments

  • Mai

    5 Maggio 2017 at 22:44

    Allora, visto che non vado matta per i dolci, questa potrebbe essere una versione interesante!!!!
    (senza peperoncino… chiaro?)

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