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Nonostante la nostra percezione del pomodoro sia quella di un ingrediente tipicamente mediterraneo tutti sappiamo che si tratta di un ortaggio importato dalle Americhe dopo la scoperta di Colombo. Per la precisione l’origine dei pomodori è decisamente sudamericana e forse non tutti sanno che anche negli Stati Uniti l’ortaggio arrivò solo nel ‘600, a partire dalla Florida, e che anche lì, come da noi, per un paio di secoli venne quasi ignorato come alimento.

Iniziò a comparire nelle zuppe statunitensi a fine ‘700 come aggiunta aromatica ad altri ingredienti e solo dal 1832 cominciarono ad essere pubblicate (il che significa che erano sufficientemente popolari) ricette di vere e proprie zuppe di pomodoro. Oggi, invece, quasi ogni famiglia americana ha una propria ricetta di zuppa di pomodoro: raramente si parte da pomodori freschi ma si utilizza quasi sempre succo di pomodoro, spesso miscelato a polpa pronta tritata o a concentrato e normalmente a latte o panna. La si aromatizza con burro, cipolle, zucchero, spezie ed erbe varie ed i più raffinati la profumano con un goccio di vino bianco o di sherry.

In ogni caso da decenni la tomato soup rappresenta “IL” comfort food per eccellenza: servita con toast grondanti di formaggio fuso è parte della memoria collettiva di grandi e piccini e simbolo popolare del pasto familiare. Quando nel 1897 John T. Dorrance, nipote del presidente della Campbell, si inventò il sistema per condensarla ed inscatolarla, non fece altro che rispondere alle esigenze di un mercato che cercava un prodotto semplice, sano (non contiene grassi) e veloce da portare in tavola, ma anche facilmente conservabile, sempre pronto e di basso costo.

Pochi sanno che la ricetta segreta e definitiva della zuppa di pomodoro Campbell venne messa a punto nel 1902 da un collaboratore francese (ecco la “nostra” nota mediterranea nascosta nella dicitura flavoring, “aromi”, che compare tra gli ingredienti riportati in etichetta, che sono: pasta di pomodoro, farina, sciroppo di mais ed estratto di sedano, oltre a sale, acqua e conservanti). Resta il fatto che il prodotto ebbe un successo travolgente, tanto da diventare uno dei 10 alimenti sempre presenti nella dispensa dell’Americano medio anche oggi che il consumo di zuppe in generale è calato, e di conseguenza una rappresentazione perfetta del classico cibo nazionale semplice e popolare.

E’ a questo valore iconico che si aggancia Andy Warhol, artista e pubblicitario, quando nel 1962 crea la prima serie di 32 serigrafie rappresentanti altrettante lattine di zuppa della Campbell. L’assenza di volontà interpretativa nel suo restituire l’immagine della scatoletta con una fedeltà quasi fotografica eleva ad arte la rappresentazione di un prodotto commerciale, e lo rende simbolo ambivalente del consumismo appiattente come pure della democrazia livellante, valori tipicamente espressi dalla società americana dell’epoca, che intendeva offrire pari opportunità a tutti, seppure di qualità basica.

L’operazione culturale di Warhol, con questa e con le successive serie di riproduzioni di un oggetto pop-olare  ossessivamente ripetute, conferiva un valore etico ad immagini che volutamente non ne avevano uno estetico, criticando implicitamente l’arte “classica” che nella interpretazione dell’oggetto raffigurato vedeva la massima espressione della “vera” cultura. La sua anima da pubblicitario, inoltre, puntava sulla produzione anche  quantitativa di opere analoghe, perché indirettamente generasse assuefazione e dunque riconoscimento automatico del “prodotto arte”. Ciò avrebbe dovuto indurne il consumo seriale, come funziona esattamente nei meccanismi inconsci su cui punta la comunicazione pubblicitaria. Certo è che, nonostante l’alto numero delle riproduzioni di lattine di zuppa, acquistare un’opera di Warhol oggi significa investire milioni. Si può dire che la sua sia stata davvero arte popolare, allora?

Quando gli chiesero perché avesse scelto la zuppa di pomodoro come icona pop Andy Warhol rispose: “Perché la mangio! Mangio le stesse cose ogni giorno da vent’anni”. Non avrebbe mai rappresentato un immaginario popolare che non fosse anche suo personale, insomma: era pop anche lui a tutto tondo, un po’ per il suo “mestiere” dall’anima pubblicitaria ed un po’ per i suoi gusti alimentari!  Ma l’implicito favore che indirettamente rese alla ditta produttrice diffondendone il chiave artistica il prodotto, con le vendite ha poco a che fare: contribuì certamente alla internazionalizzazione del marchio Campbell, ma influì poco sui trend di vendita aziendali negli Stati Uniti, sempre tenuti alti con grande acume comunicativo dalla Campbell stessa.

Ad esempio dagli anni ’40 una cucina interna all’azienda  testa e divulga ricette da preparare utilizzando la zuppa di pomodoro anche non  in forma di zuppa, ed oggi il sito di ricette Campbell è uno dei più visitati negli Stati Uniti nel settore food.  Lo stesso logo Campbell, che da sempre riprende la firma del fondatore Joseph Campbell come forma di autorevole rassicurazione, con la sua grafia in corsivo mira anche a suggerire la sensazione di home made, come fosse la ricetta appuntata da una casalinga e per questo è stata mantenuta in tutti i restyling della confezione.

Più di recente, a dimostrare l’attenzione verso le nuove tendenze che cercano un cibo sano, fresco e locale, dall’etichetta trasparente, è uscita in edizione limitata una lattina di zuppa di pomodoro al manzo che replica la ricetta originale di Dorrance del 1915: ne ricostruisce antichi strumenti di cottura ora in disuso, utilizza pomodori del New jersey come in origine invece dei comuni californiani, è messa sotto vetro invece che inscatolata e nella promozione si sottolinea come l’unica modifica della ricetta antica sia la riduzione della quantità di sale. Inoltre questa zuppa speciale non viene confinata sugli scaffali dello scatolame nei supermercati… ma è esposta nel reparto ortofrutta!

E così, mentre l’Americano medio si affida alle lattine di tomato soup per praticità, per abitudine ma soprattutto per tradizione familiare e per assuefazione al suo sapore, oramai identificato come quello che ogni zuppa di pomodoro veramente americana dovrebbe avere, chi è più attento all’evoluzione della cucina contemporanea, alla salute o anche semplicemente alla moda, acquista una zuppa in lattina in edizione limitata e la serve in famiglia con crostini di pane integrale, magari fatto in casa con lievito madre. E Andy Warhol, per quanto se ne dica, con il più  che centenario successo della Campbell probabilmente c’entra davvero poco.

Testi a cura di Annalena De Bortoli

Credits immagini
immagine di copertina presa da qui
lattina attuale: https://www.campbellsfoodservice.com/product/campbells-classic-tomato/
confronto lattina vera e wharol: http://www.foodrepublic.com/2014/07/10/a-condensed-history-of-the-campbells-tomato-soup-can/
beffsteak edition e laboratorio Dorrance: http://fortune.com/2016/12/19/campbell-soup-old-soup-recipe/
fabbrica ‘900 con pubblicità ’50: http://www.adweek.com/brand-marketing/how-campbell-s-tomato-soup-became-legend-can-160111/

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