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Quanti modi di dire cous cous!

Cuscusu in dialetto siciliano, in francese Couscous, Kaskà in sardo, Cuscusó in catalano, in berbero Seksu e kuskus o kuskusūn  in arabo dell’Africa settentrionale; ma sempre e comunque riferendosi alla combinazione di due soli elementi, semola di grano duro e acqua che, lavorati pazientemente ed armoniosamente coi polpastrelli, si trasformano nel coccio, un insieme di dorati granelli da cuocere al vapore.

Originario del Maghreb, quella zona africana affacciata sul Mediterraneo che comprende Marocco, Algeria, Tunisia e Libia, dove costituiva la fonte primaria di sostentamento delle popolazioni locali, perlopiù dedite alla pastorizia e bisognose di un cibo che si potesse stoccare facilmente nelle tende, si è facilmente espanso in Sicilia occidentale e Spagna con la dominazione araba, e da qui solcato mari e scalato montagne, arrivando in Sardegna, a Livorno e Genova e più su fino in Bretagna.

Tradizionalmente prodotto solo con semola di grano duro (Triticum durum), oggi viene proposto anche macinando grossolanamente altri cereali come riso, miglio, orzo, farro, sorgo e mais.

Il Kaskà sardo, presente nella cucina della Sardegna meridionale, è un’eredità del popolo ligure che vi si trasferì dopo un soggiorno nell’isola tunisina di Tabarka; inizialmente piatto molto semplice e povero, preparato solo con poche verdure (cavolfiore o cavolo cappuccio e ceci), si è poi arricchito nel tempo anche di carne suina. Oggi rappresenta un piatto della festa e a Carloforte lo si celebra con  la sagra del Cuscus Tabarchino.

Ma il più famoso e conosciuto in Italia è il Cuscus alla trapanese, dove la semola viene abbinata ad una gustosa zuppa di pesce,  ingrediente primario e facilmente disponibile della cucina locale.

Talmente buono e caratteristico da essere stato inserito tra i PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) siciliani riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Sicilia.

E proprio oggi inizia la ventesima edizione del Cous Cous Fest, la rinomata rassegna trapanese dedicata al cous cous, riconosciuto come piatto della pace: ancora una volta la cucina che unisce i popoli, che non fa distinzioni religiose, culturali e lessicali, ma, al contrario, sa fondere sapori e tradizioni multietniche in un’accoglienza gastronomica globale.

CUSCUS ALLA TRAPANESE

di Alida Mileci – Levanzo, isole Egadi, Trapani

Ingredienti per 10 persone:

per il cuscus:

1 kg di semola di grano duro

acqua q.b.

prezzemolo

cipolle o cipollotti

500 g di gamberetti puliti

200/250 ml di olio extravergine di oliva

sale marino

pepe macinato fresco

 

per il brodo vegetale:

5/6 l di acqua – carote – sedano – cipolle – cannella – alloro – chiodi di garofano – pepe in grani

Partendo da acqua fredda (che deve ricoprire abbondantemente le verdure) portare a bollore gli ingredienti e cuocere per mezz’ora circa semicoperto. Filtrare e tenere da parte.

 

per la ghiotta (zuppa di pesce):

5 l di brodo vegetale caldo

500 g di gamberi puliti

2/2,5 kg di pesce misto

(scorfano – capone – pesce serra – gallinella – coda di rospo)

olio extravergine di olio

una cipolla

3 spicchi di aglio rosso di Nubia

peperoncino q.b.

600 g di passata di pomodoro

2 cucchiai di concentrato di pomodoro

 

500 g di calamari

semola rimacinata

olio per friggere

Soffriggere la cipolla tritata grossolanamente in poco olio, aggiungere la passata di pomodoro, il peperoncino e il concentrato. Dopo circa 10 minuti unire i due terzi del brodo vegetale caldo, l’aglio pestato nel mortaio col prezzemolo e i pesci eviscerati ma lasciati interi (o al massimo a metà se troppo grossi), lavati (e squamati, se necessario) e precedentementi salati, inserendoli a più riprese dal più grosso al più piccolo, i gamberi col carapace per ultimi. Cuocere la zuppa per circa 30 minuti. Scolare poi i pesci, eliminare teste e carcasse, cercando di mantenere dei bei pezzettoni integri di polpa e tenere da parte.  Sgusciare i gamberi.

Per un gusto più deciso del brodo, cuocere ancora una mezz’ora gli scarti dei pesci nel liquido, filtrare poi attraverso un setaccio fine, in modo da eliminare ogni possibile lisca, schiacciando bene le parti solide per recuperare più polpa e umori possibili. Riunire la polpa dei pesci in un terzo del brodo filtrato e tenere da parte. Il restante brodo servirà per condire la semola cotta e come accompagnamento.

Calcolare circa mezzo litro di olio per condire il cuscus ogni 2,5 kg di semola.

Il riposo del cuscus cotto ben coperto per mantenerlo al caldo è fondamentale, altrimenti la semola poi gonfia in pancia.

Nella zuppa di pesce l’aglio non si soffrigge con la cipolla altrimenti rilascia l’amaro.

Incucciatina/incocciare: la lavorazione della semola con acqua nella mafaradda per trasformarla nel coccio, la tipica pallina di semola.

Cunzatina: il condimento di olio e aromi per lucidare e profumare il cuscus prima di essere cotto.

Cuscussiera: speciale pentola bombata per cuocere il cuscus, costituita da una pentola grande sottostante sulla quale andrà appoggiato il cestello bucherellato per la semola. Tradizionalmente fatte di terracotta verniciata, se ne trovano in commercio anche in acciaio o alluminio.

L’abilità della incucciatina sta nel riuscire a fare i granelli della stessa dimensione, mantenendoli ariosi e non ammassati e senza grumi.

Il recipiente ideale per incocciare la semola è la tipica mafaradda, il tradizionale contenitore largo e basso, a pareti svasate, di legno o di terracotta verniciata, usato poi anche come piatto da portata. In mancanza di questo, ci si può attrezzare con una ciotola bassa a base larga o addirittura una padella antiaderente, come ci mostra Alida nel video.

Il lemmo, invece, è la tradizionale ciotola conica in terracotta smaltata dove si mantiene la semola incocciata.
Per riuscire a fare un buon lavoro e senza grumi ammassati, non si incocciano grandi quantità di semola alla volta, ma la dose sufficiente a riempire la base della ciotola e comunque non più di 200/300 g per volta (eventualmente si ripete l’operazione). Per i principianti è consigliabile incocciare dosi piccole di semola alla volta.

Importante è aggiungere l’acqua fredda (per alcuni leggermente salata) poco per volta, uno o due cucchiai, unendone ancora quando la precedente è stata ben assorbita. Si procede lavorando la semola con un movimento della mano circolare sempre nello stesso senso, tenendo il palmo leggermente convesso (come volessimo tenere in mano un agrume) e facendo appoggiare i polpastrelli sul fondo della ciotola, ruotando sempre delicatamente, senza premere con forza. Si continua a roteare la semola fino ad ottenere il coccio, i caratteristici granelli, e l’incocciatura termina quando i granelli di semola raggiungono la grandezza desiderata; mano a mano che il coccio è pronto, trasferirlo su un canovaccio pulito per farlo asciugare, in modo che tutta l’acqua venga ben assorbita dalla semola (mantenendolo coperto). Altrimenti, incocciando la sera, lo si può versare con delicatezza in una ciotola (meglio se conica, come il lemmo), coprire e conservare in frigo fino all’indomani.

Condire poi il coccio, regolando sale e pepe, unendo il prezzemolo e la cipolla o i cipollotti tritati finemente e l’olio, sgranandolo ancora delicatamente tra i palmi delle mani finchè diventa ben lucido. In ultimo unire i gamberetti sgusciati e trasferire nel cestello bucato della cuscussiera. Intorno al bordo si sistemano delle foglie di alloro e si praticano dei piccoli camini di sfogo del vapore in mezzo alla semola col dorso di un mestolo di legno. Appoggiare il cestello sulla pentola inferiore della cuscussiera riempita a metà di acqua (dove si possono mettere anche gli scarti verdi dei cipollotti), accendere il fuoco e far prendere il bollore. Quando si vede uscire il vapore dai camini, abbassare la fiamma e mettere il coperchio. Per evitare fuoriuscite laterali di vapore, che si deve invece concentrare sulla semola, si possono sigillare i bordi della pentola e del cestello con un impasto morbido di acqua e farina o un canovaccio di cotone inumidito.

Cuocere per un’ora, un’ora e mezza, a bollitura lenta (altrimenti la semola si annacqua), calcolando il tempo di cottura da quando si vede uscire il vapore dai camini, senza mai toccare la semola.

Le nonne insegnavano che per capire la giusta cottura del cuscus occorreva sistemare delle fette di cipolla sopra la semola: quando queste erano cotte il cuscus era pronto. Rimane comunque al dente, perchè poi si ammorbidisce durante il riposo.

Trasferire quindi la semola cotta in una ciotola (bassa e larga) di ceramica o terracotta smaltata e aggiungere il brodo di pesce bollente fino a ricoprirla tutto. Sigillare bene con carta di alluminio e avvolgere la ciotola con più coperte, lasciando riposare per almeno 4 ore.

Poco prima di servire il cuscus pulire i calamari e tagliarli ad anelli; passarli nella semola rimacinata e friggerli in abbondante olio, poi scolare su carta assorbente.

Servire il cuscus con il pesce della zuppa, i calamari fritti e il brodo di pesce.

In commercio esistono dei buoni cous cous precotti, anche di grani antichi siciliani, che cuociono solo per assorbimento. Si può procedere a farli rinvenire come descritto nelle istruzioni riportate: solitamente unendo una parte di liquido caldo per una di semola, dopo aver comunque sgranato i granelli ripassandoli tra i palmi delle mani unte di olio, lasciando poi riposare coperto fino a totale assorbimento del liquido, circa 10 minuti, e sgranando ulteriormente la semola alla fine con una forchetta e proseguendo poi con l’aggiunta del condimento preferito.

Ma per un cous c0us più saporito e aromatico, si può procedere come per quello tradizionale: dapprima si condisce e si sgrana con l’olio, poi si sistema nel cestello della cuscussiera (unendo alloro e cipolla tritata a piacere) e si fa cuocere a vapore per 15 minuti, aromatizzando il brodo sottostante con le verdure, gli aromi e le spezie prescelte.

 

Testo e foto Cinzia Martellini 

Foto iniziale di Silvia Coletto

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