Abbiamo spesso chiarito, sia qui parlando di asparagi che qui parlando di cetrioli, quali siano le falsità storiche che vedono Caterina De’ Medici come rivoluzionaria della cucina. Ma è altrettanto certo, come testimoniano i documenti antichi vagliati dalla storica Antonella Campanini, che la nostra Caterina fosse decisamente golosa e che quindi si deliziasse di specialità che in quell’epoca erano considerate vere raffinatezze, come i carciofi, l’alkermes e persino la zuppa di cipolle, declinata alla cannella, o alle mandorle, così e così
Di certo aveva predilezione per le verdure, quelle citate sopra ma anche per broccoli, piselli, spinaci e gli allora ancora vagamente misteriosi pomodori, e di certo non disdegnava dolci come marroni canditi, crema frangipane e pasticcera, sorbetti e gelati. In merito a questa sua sua predilezione per la gola, La Campanini riporta un documento del 1575 in cui si raccontava che Caterina quasi morì di indigestione per la gran quantità di torta di carciofi e creste di gallo che ingurgitò durante un banchetto di matrimonio … e chi siamo noi per non assecondarla in questa sua golosità?
Per ricostruirne la ricetta, ancora a cavallo tra dolce e salato come era d’uso allora, ci affidiamo a trattati dell’epoca: rinchiudere in uno scrigno di pasta friabile diversi ingredienti “suolo a suolo” è oramai riconosciuto come un grande classico di tutte le cucine abbienti dell’Italia del tempo. E per l’involucro ci basta seguire le istruzioni di Antonio Latini, scalco in diverse corti nobili:
Piglierai Farina, Ova, Strutto, e Zuccaro; formato che havrai la Cassa del Pasticcio, vi porrai dentro gli seguenti Ingredienti […]. Coperto, che havrai il Pasticcio, lo metterai à cuocere nel Forno, e cotto, che sarà, ci farai il suo Brodetto, con Rossi d’ova, sugo di Limone, ò altro, à beneplacito, che sarà un Pasticcio di molto gusto.
Per la farcitura accogliamo i consigli di Domenico Romoli, detto Panunto, che nel suo trattato del 1560 discetta in merito ai sapori che si potevano propriamente accostare a dei volatili:
Starnotti, fagianotti e pulcinelli arrosti. I duo animaletti salvatici si arrostiranno e prepareranno al modo del pavone arrosto […]. Quanto ai pulcinelli […] rimettasi nel corpo il suo fegatino, un poco di lardo battuto, quattro uve passerine e un poco di pepe e cannella e una ciocca di finocchio fresco, riserrisi il buco, rifacciasi nel brodo magro, e così fasciato nella carta si cuocerà come gli altri; questo sarà buono come sarà fuor dello spiedo, così caldo messo in un piatto con aceto rosato [misto di aceto e acqua di rose], zuccaro e cannella bollito sopra. Cuoprasi e così stufato mandisi in tavola, gli altri mangisi con uva fresca o savor di visciole o salsa reale.
Per quanto riguarda i carciofi, invece, ci viene in soccorso Giacomo Castelvetro, che già avevamo citato nella Giornata dedicata a Caterina De Medici del 2021:
A più foggie poi noi li cuociamo, oltre alla non biasimevole maniera inglese, perché i piccioli, che non vogliam mangiare crudi, talgiate alquanto le cime delle loro pungenti foglie, diam loro prima un bollo in acqua pura, la qual gittiam via per essere amarissima, e poi gli facciam finire di cuocere in buon brodo di carne grassa di manzo o di capponi; e cotti che sono li mettiamo in un piatto alquanto cupo con un poco di quel brodo, e sopra vi spargiamo formaggio vecchio grattugiato e pepe, che accresce lor bontà, e così vengono da noi trovati un ghiotto mangiare, che a scriverlo mi fa venir l'acqua in bocca. […] Di simiglianti ancora ne facciam pasticci accompagnati da monne ostriche e dalla midolla de’ manzi, non gli privando del suo sale e del suo pepe, e per farne tai pasticci convien dar loro prima il bollo testé detto.
Purtroppo, dopo aver cercato ovunque, abbiamo dovuto rinunciare alle creste di gallo, qui sostituite per consistenza con dei milanesissimi nervetti (cartilagini delle ginocchia del manzo) e per sapore, barando un po’, con del cuore di vitello. Ecco perché alla fine non abbiamo scelto esattamente la forma di un pasticcio rinascimentale completamente
racchiuso in uno scrigno croccante, come quello di cui deve aver fatto indigestione Caterina, ma una sua versione semplificata, che resta aperta e che, di nuovo tra storia e leggenda del rapporto gastronomico tra Francia e Italia comprende la salsa colla, ovvero l’antenata della besciamella.
TORTINI DI CARCOFI E FINTE CRESTE DI GALLO
per 4 persone
per la pasta
270 g di farina
135 g di strutto
1 uovo
½ cucchiaio di zucchero
¼ di cucchiaino di sale
per la farcitura
2 carciofi
200 g di nervetti
100 g di cuore di vitello, in fette spesse 5 o 6 mm
500 ml di brodo di pollo
30 g di parmigiano grattugiato
1 uovo
1 cucchiaiata di uvetta
2 filetti di acciuga sott’olio
2 cucchiai di farina
1 spicchio di aglio
1 stecchetta di cannella
1 pizzico di foglioline di aneto o finocchietto
noce moscata
30 g di burro
sale
pepe al mulinello
Impastate gli ingredienti per la crosta, avvolgete in pellicola e lasciate riposare in frigorifero un’oretta.
Nel frattempo scottate il blocco dei nervetti per un minuto nel brodo bollente insieme alla cannella e qualche grano di pepe, scolando i nervetti con una schiumarola. Lasciateli intiepidire e riduceteli a piccoli dadini. In un paio di cucchiai di brodo mettete a rinvenire l’uvetta.
Mondate i carciofi, gambi compresi, tagliateli a spicchi e scottateli nel brodo alla cannella fino a che sono morbidi. Scolateli, strizzateli e riduceteli a cubettini, raschiando eventualmente la polpa ma eliminando le parti delle brattee che restano troppo fibrose.
Infarinate il cuore con mezzo cucchiaio di farina. Scaldate il burro insieme all’aglio schiacciato e alle acciughe; quando sono sciolte unite il cuore, alzate la fiamma e cuocere due minuti per parte, lasciandolo leggermente rosato all’interno. Fate intiepidire e tagliatelo a piccoli dadini.
Nel fondo di cottura del cuore versate la farina rimasta, tostatela leggermente ed unitevi il brodo filtrato, che sarà denso per la gelatina rilasciata dai nervetti, l’aneto e una grattata abbondante di noce moscata, mescolando fino a che si crea una salsa colla densa e vellutata.
Unitevi l’uvetta scolata, i carciofi, i nervetti, il cuore, il parmigiano e quasi tutto l’uovo, prima sbattuto, poi regolate se serve di sale e pepate abbondantemente.
Stendete la pasta in una sfoglia spessa 3 mm, rivestiteci 4 stampi da tartellette tondi da 9 cm, colmateli di fagioli secchi; reimpastate i ritagli, stendete e tagliate dei coperchietti simbolici con un coppapasta più piccolo delle tartellette. Spennellate questi dischetti con il resto dell’uovo. Cuocete tutto in forno statico a 180 °C per circa 15 minuti, fino a che i coperchi sono croccanti e dorati.
Levate tutto dal forno, mettete da parte i coperchietti, eliminate i fagioli, farcite i gusci con il composto di carciofi e rimettete in forno per altri 10-15 minuti, finché la farcitura si è rappresa e leggermente dorata.
Servite i tortini ben caldi, ciascuno parzialmente sormontato dal suo coperchietto.
Fonti bibliografiche:
– Claudio Benporat, Storia della Gastronomia Italiana, Mursia, 1990, EAN 9788842507505 (da cui è tratta la citazione del Latini)
– Antonella Campanini, Il cibo. Nascita e storia di un patrimonio culturale, Carrocci, 2019, ISBN 9788843095308
– Alberto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5884-X
– Emilio Faccioli (cura), L’arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati sulla civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Einaudi Editore, 1987 e 1992, ISBN 88-06-59880-5 (da cui è tratto il brano di Romoli)