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“Ho pianto tre volte nella mia vita: quando mi fischiarono la prima opera, quando sentii suonare Paganini e quando mi cadde in acqua, durante una gita in barca, un tacchino farcito ai tartufi.”

Aveva appena 37 anni Gioacchino Rossini quando decise di ritirarsi dalle scene musicali. Per quasi un ventennio aveva riempito i teatri di tutta Europa, deliziando un pubblico ogni volta più ammirato dall’estro incontenibile di un vero genio, capace di misurarsi in tutti i generi, con la forza prorompente di un Titano, come lo appellò un estasiato Mazzini che giunse a paragonarlo a Napoleone, per vigore, vitalità, energia.Nessuno ancora conosce il vero motivo di questo repentino addio all’attività musicale: c’è chi banalmente parla di un raggiunto benessere, chi di una stanchezza dell’ispirazione, chi propone una lettura a posteriori, alla luce della depressione di cui il nostro soffrì sul finire della sua vita (“quel pover’uomo di genio” lo definì Stendhal) e chi, infine, ritiene che, alla fine, abbia prevalso l’altro suo grande talento, vale a dire l’amore per il bon vivere e per la buona tavola su tutto.

Quale che sia la verità, è innegabile che al nome di Rossini sono legati alcuni dei piatti più emblematici di un filone della tradizione gastronomica, oltre che un’aneddotica copiosa, fatta di frasi celebri e di episodi al limite della leggenda che ne hanno fatto  lo stereotipo del gourmand gaudente e raffinato, “principe dei gastronomi” o, per citare la definizione usata da lui stesso, “pianista di terza classe ma primo gastronomo dell’universo”.
Vita, musica e cucina si intrecciano nelle sue riflessioni, in un contrappunto di costanti richiami all’uno e all’altro.

“Dopo il non far nulla, confessa in una delle tante lettere del suo epistolario, io non conosco per me occupazione più  deliziosa del mangiare, mangiare come si deve, intendiamoci. L’appetito è per lo stomaco ciò che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il maestro di cappella che governa e aziona la grande orchestra delle passioni. Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto o  il piccolo flauto in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia. Al contrario, lo stomaco pieno è il triangolo del piacere oppure i cembali della gioia. Quanto all’amore, lo considero la prima donna per eccellenza, la diva che canta nel cervello cavatine di cui l’orecchio si inebria ed il cuore viene rapito. Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne”

Ossessionato dalle materie prime,antesignano del km 0, Rossini elaborò piatti che ancora oggi portano il suo nome, dai Tournedos ai Maccheroni,causa,questi ultimi,di una feroce inimicizia con Dumas a cui neppure la morte del compositore mise fine. Oltre a questi, ci furono poi le ricette a lui dedicate dai celebri cuochi dell’epoca,fra cui spicca quel Careme che fu suo amico personale e che mai smise di tributare attestati di aperta e sincera stima, per il suo palato finissimo e la raffinatezza dei gusti.

Il tartufo era l’immancabile protagonista,seguito a ruota dal foie gras,dalla cacciagione,dai prodotti del territorio,in una gara di ingredienti preziosi e di sapori esclusivi che rappresentano oggi la fotografia di un’epoca in cui la cucina diventava strumento di una vera rivoluzione,passando dalle regge alle case borghesi: quella rivoluzione che,nella musica,Rossini non volle  cavalcare e a cui invece prestò la sua inventiva nella gastronomia, lasciando anche in questo campo la firma inconfondibile del suo genio.

Articolo di Alessandra Gennaro
Foto composta presa da Taccuini storici  e Caricatura di Rossini di Etienne Carjat (1828-1906)
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