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In Medio Oriente si litiga per tutto.
Per i confini, per la terra, per le piante. Per chi ha lanciato una pietra per primo e chi ha risposto con un missile. Per chi ha aperto la porta e chi invece, entrando l’ha chiusa.
C’è sempre una scusa per litigare.
Ma quella della cucina, è forse la meno nota e meno mediaticizzata.
Tra arabi e israeliani, il litigio trascende anche li, tra pentole e fornelli, per la rivendicazione di piatti ormai mondialmente famosi come i falafel, il mamoul, l’hummus, il knafeh e anche la Shakshuka.
Ogni volta che la stampa israeliana, o un tweet o buzzfeed o qualsiasi altro mezzo lancia un’appropriazione indebita da parte israeliana (di qualsiasi natura), il sito The Electronic Intifada risponde in difesa della paternità araba e della giustizia pro Palestina. Qui un esempio.

E ricomincia il litigio.

La Shakshuka è innegabile che sia diventato il piatto nazionale israeliano. Un simbolo gastronomico, come gli spaghetti al pomodoro per l’Italia e le Lumache per la Francia. Quel che è certo, però, è anche che questo piatto, israeliano non è.
Anzi, non ditelo a nessuno, ma una cucina israeliana non esiste. Tutto è preso da qui e da li, e portato nei bagagli degli ebrei immigranti o dagli scambi con gli arabi dei paesi circostanti.

La Shakshuka riunisce i due requisiti. È stata portata in Israele dagli ebrei immigranti dal Magreb, ma le sue origini sono Turche Ottomane, poi adottate dai Magrebini e infine adottata dagli ebrei locali.

Tra gli stufati preferiti nell’Impero ottomano, c’era la Waissaksuka, fatta con varie verdure e carne macinata o fegato.

Con il tempo, e con l’arrivo di nuovi ingredienti dalle Americhe, il piatto si è trasformato. La carne ha cominciato a sparire e il pomodoro è stato definitivamente adottato come ingrediente principale. Gli stufati a base di pomodoro furono molto popolari nei paesi dell’Antico Impero Ottomano: in Turchia, Siria, Egitto, i Balcani e il Magreb, dove furono apprezzati di più.

Quando lo stufato di pomodoro raggiunse il Magreb, fu chiamato Shakshuka o Taktuka e divenne, con l’aggiunta delle uova, la colazione preferita della classe lavoratrice.
Le comunità ebraiche del posto l’adottarono subito e la portarono in Israele, quando cominciarono l’immigrazione massiva.

Il piatto deve gran parte del suo successo alla sua convenienza. Per un immigrato appena arrivato in un paese nuovo, un pasto di uova, pomodoro e verdure era un’opzione decisamente accessibile e semplice. In più era abbastanza versatile per essere colazione, pranzo, o cena.

Agli albori dello Stato Israeliano, la shakshuka risultò facile e a buon mercato per sfamare i militari, era per niente complicata da cucinare e servire in massa ai soldati, e ciò, secondo gli storici del cibo, avrebbe contribuito alla gran diffusione del piatto.

Negli ultimi anni, la Shakshuka è uscita dai confini orientali per diventare popolare anche in occidente e in tutto il mondo. Parte della sua recente fama internazionale, si deve non solo a una riscoperta dei benefici della dieta Mediterranea sulla salute, ma anche alla sua apparizione in Jerusalem, popolare libro del famoso chef Israelo-britannico Yotam Ottolenghi.
Dalla pubblicazione del libro, la Shakshuka è diventata quasi onnipresente, da ricette sul New York Times, The Guardian e su incontabili blog di cucina.

Come l’hummus e il falafel, la Shakshuka porta con sé, per alcuni, quel senso di appropriazione Israeliana e la rivendicazione di un piatto che, storicamente, è più arabo che israeliano. Certo, come tantissime cose in Medio Oriente, le sue origini sono soggette di dispute e contese, ma la verità è che la gente nel Levante ha sempre mangiato molto similmente e molte volte è difficile da stabilire di chi è cosa.

Però, se si fanno quattro passi a Jaffa, poco lontano dall’antico mercato, si troverà il locale Doktor Shakshuka, uno dei posti più famosi al mondo per mangiarla. Gestito da quasi 20 anni da una famiglia di origine Libica, il ristorante è pieno a qualsiasi ora di gente di tutto il mondo che mangiano la stessa cosa.

È lì che si ritrova la pace. Quando il cibo unisce.

Shakshuka

Ingredienti
Per 4 persone

3-4 cucchiai di olio extra vergine d’oliva
1 cipolla rossa grande, grossolanamente tritata
2 spicchi d’aglio, finemente tritati
3 peperoni rossi, tagliati a pezzi piccoli
1 kg di pomodori, pelati e tagliati a cubetti
1 cucchiaino di paprika
1 cucchiaino colmo di cumino in polvere
sale
pepe
4 uova.

Opzionali
1 cucchiaio o anche due, di
Harissa (pasta di peperoncino magrebina)
o
S’chug (pasta di peperoncino yemenita)
Prezzemolo fresco tritato per rifinire

In una padella larga e bassa, scaldare l’olio. Aggiungere le cipolle e farle soffriggere a calore moderato, fino a farle ammorbidire. Aggiungere l’aglio e cuocere per altri 2 minuti. Aggiungere i peperoni e cuocere ancora a calore moderato, fino a farli ammorbidire.
Aggiungere i pomodori, la paprika, sale, pepe e, se l’usate, la pasta di peperoncino. Portare a ebollizione e poi abbassare il fuoco, coprire e far cuocere a fuoco molto lento per una mezz’ora. Anche se il tempo dipende dalla qualità dei pomodori, la salsa deve risultare cremosa e densa, non liquida.
Con un cucchiaio, fare quattro buchi nella salsa di pomodoro e peperoni e aprire le uova in ognuno dei buchi. Coprire la padella e cuocere finché le uova saranno completamente cotte.
Servire subito, con tanto pane e una generosa spolverata di prezzemolo.

Testi e fotografie a cura di Michael Meyers

2 Comments

  • Tamara Giorgetti

    9 Maggio 2017 at 17:36

    Questo lo faccio ogni tanto in estate è una cosa splendida, sapori unici

  • Katia Zanghì

    9 Maggio 2017 at 23:56

    Gran bel post e piatto golosissimo, per me.

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