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La paranza è una danza, sussurrava un noto cantautore qualche estate fa. Che strano accostamento: una prosaica frittura di pesce con l’aulica essenza del balletto.

In realtà, pare di vederli quei piccoli pesci – trigliette, alici, latterini, sugarelli, saraghi, ghiozzi, tutti sotto i 7-8 cm – saltellare vivaci dentro alle reti, dimenarsi riflettendo i bagliori del sole con le loro squame argentee, fino ad essere afferrati dalle mani dei pescatori, vivi e lucenti. Questa è la loro danza, accompagnata dalla melodia dei pescatori – musicisti che, da marzo a ottobre, escono in mare con piccole imbarcazioni (anch’esse dette paranze) e gettano le reti a strascico per catturare questi piccoli pesci.

Il nome paranza deriva dal fatto che in passato la rete era portata da due imbarcazioni che procedevano appaiate (in paranza, per l’appunto), un tipo di pesca che si praticava nei mari del basso Tirreno, dell’Adriatico e della Sicilia.

Pesci così piccoli, una volta, erano la parte più povera del pescato e venivano dati come salario ai pescatori che lavoravano sulle barche altrui. Oggi sono una prelibatezza che si paga spesso cara, eppure non c’è nulla di più semplice: infarinati, vengono fritti e serviti immediatamente, ancora croccanti. E vien voglia di mettersi a ballare.

Frittura di Paranza

1 kg di pescetti da lisca freschissimi, puliti ed eviscerati
farina bianca
olio di arachide o di semi
sale

Infarinate i pescetti.
In una padella di ferro, fate scaldare l’olio. Aggiungete i pescetti infarinati senza “affollare” la padella. Lasciate dorare perfettamente.
Scolate e disponete su fogli di carta gialla. Salate e servite.

Bibliografia
Lotti, S. La Cucina della Lucchesia, 2004, Maria Pacini Fazzi Editore

Fotografie a cura di Giuliana Fabris

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