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I semi di anice che si utilizzano maggiormente nella cucina italiana sono quelli dell’anice verde (Pimpinella anisum). Diversi per caratteristiche ed origini sono l’anice stellato (Illicium verum) e l’anice pepato (Xanthoxylum piperitium). I tre tipi pur  avendo in comune   parte del nome, appartengono a 3 piante differenti per  forma  e provenienza

L’anice verde, pianta erbacea annuale della  famiglia delle Apiacee o Ombrelliferae, originaria del Medio Oriente, è diffusa sin dai tempi dei Faraoni in tutto il bacino del Mediterraneo.

L’anice stellato è la bacca  con la caratteristica forma ad otto punte, di un  albero della famiglia delle Magnoliacee. Originario dell’Asia del Sud e della Cina  è arrivato in Europa  alla fine del ‘600.

L’anice pepato è ottenuto da una pianta originaria della Cina, Corea e Giappone, appartenente alla famiglia delle Rutaceae. Si caratterizza per la forte aromaticità e piccantezza. L’anice stellato e pepato  sono ampiamente utilizzati nella cucina  cinese

Occupandoci di cucina italiana ci concentriamo quindi, in questo articolo, sull’anice verde che  è usato, nel nostro territorio, fin dai tempi dei Romani, i quali, oltre ad apprezzarne molto le virtù officinali,  lo adoperavano per aromatizzare piatti di carne (pollo, maiale,coniglio) e pani o focacce come quella che veniva offerta ai gladiatori prima dell’esibizione in arena. Formata da pasta di pane schiacciata ed arricchita da semi di anice verde, veniva cotta tra la cenere o su un piatto di terracotta appoggiato sulla brace. Questa focaccia, ‘lu p’zerulle’, è ancora oggi presente nella tradizione picena.

A fine pasto invece, in particolar modo in occasioni di lauti banchetti come quelli nuziali, venivano offerti per stimolare la digestione, dolcetti speziati a base di mosto e formaggio, aromatizzati con anice e cumino e cotti in foglie di alloro.

Nel  Medioevo  troviamo  i semi di anice, in alternativa a  zenzero, finocchio o cumino,  in confetti  glassati con zucchero o miele, che servivano da aperitivo in accompagnamento a bevande composte di vino addolcito e corretto con latte. Anche i ‘Biscotti coll’anici’ del Monte Amiata risalgono a questo periodo. Fatti di ingredienti semplici  e facilmente reperibili (farina, olio d’oliva, vino, lievito e semi di anice) come gli attuali taralli meridionali,  accompagnavano i contadini nei campi, mantenendo  gusto e sapore per giorni.  Per inciso sappiamo che è proprio in questo periodo storico che l’uso dell’anice  si  diffuse nell’Europa settentrionale: Carlo Magno, che avuto modo di apprezzarne i benefici, ne importò la coltivazione nei poderi imperiali di Aquisgrana e nei suoi ‘Capitolari’ autorizzava il commercio con l’Oriente dell’olio essenziale estratto dall’anice, la mitica ‘Quintessenza’.

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Ricette risalenti invece al Rinascimento  sono quelle dei berlingozzi, ciambelle toscane all’anice, preparate per le feste di Carnevale già nel 1400 ed originarie  della zona di Lamporecchio,  da cui provengono i famosi brigidini,  cialde  croccanti anch’esse al profumo di anice. Sempre toscano e sempre di origine rinascimentale è il buccellato di Lucca, un pane dolce ricco di anice ed uvetta creato nel 1450 dai pasticceri della città e sfornato ancora oggi.
In Maremma troviamo lo ‘sfratto dei Goym’, biscotto senza  lievito nato nella Comunità Ebraica di Pitigliano e Sorano (Grosseto),  a ricordo  del bastone  con il quale il  messo del Granduca Cosimo II de’ Medici, cacciava i giudei dalle proprie case.

Nella Tuscia viterbese, nel 1588, nasceva il biscotto  di Sant’Antonio, un pane dolce a forma di treccia in cui si simboleggiava l’unione con il Santo al quale era dedicato.

Passiamo dal sacro al  profano, con un dolce marchigiano ormai quasi dimenticato  la ‘ficaonta’, biscotto speziato all’anice e miele, presente nei banchetti cinquecenteschi.

Se rileggiamo  quanto nel 1543 Fuchs scriveva nel suo Novo Erbario:
“Il seme di anice rende l’alito lieve e profumato. Utile come dissetante, impedisce il gonfiore di stomaco. Fa produrre più latte alle donne, e stimola il desiderio concupiscente. Questo seme fa del cibo un piacere…”, non possiamo stupirci del  grande  uso che si faceva di questa spezia. Erano certo apprezzate  le sue qualità   digestive  ed aromatiche,  ma, a parer mio, la convinzione che esso risvegliasse‘ i sensi’ ne ha aumentato l’utilizzo. 

Non credo sia  un caso che  in Italia e nel resto d’Europa l’anice compaia  in diversi ‘dolci nuziali’, seguendo la convinzione  che possa  avere un’influenza positiva sulla fertilità degli sposi.
Gli zuccherini montanari dell’Appennino emiliano si regalavano un tempo durante i matrimoni, così come si fa ancora, ad esempio, nel Lazio con la ciambella di Rocca di Papa o al sud  con il tarallo dolce con  la glassa bianca fondente profumata all’anice. Per uno dei più celebri  ‘lu mstazzuol cu ru zucc’r’  di Avigliano (PZ) le origini si fanno risalire addirittura  al II secolo dopo Cristo.

Anche nei  dolci di Pasqua della tradizione regionale l’uso dell’anice è diffuso dal Nord al Sud. Aromatizza i cavagnetti, piccoli cestini  liguri di  pasta dolce che racchiudono uova,  e le ‘cugine’  calabresi e siciliane, cuzzupe e  cuddure, la pizza di Pasqua di Civitavecchia, la schiaccia toscana, i rocci umbri.

Anche  i biscotti all’anice sono presenti   in gran parte della penisola con le varie distinzioni locali. Esistono i miliddri (salati), gli  anicini siciliani, sardi, quelli liguri (‘anexin’e biscotti del Lagaccio), i ficculi lucani, le beccute e i cinque dieci marchigiani, le tisichelle laziali, ‘li Cumberzejune’ abruzzesi.

Sul fronte ciambelle non si è da meno: si va da quelle dolci di Casape, a quelle marchigiane al mosto o al mistrà, a quelle salate che troviamo in Ciociaria, dove famosa è quella di Veroli, e in Sabina. In questo elenco inserirei anche i taralli che oltre alla versione più nota con semi di finocchio, prevedono anche la variante con l’ anice.

In molte di queste preparazioni tradizionali, i semi di anice sono spesso sostituiti dal liquore all’anice, di cui l’Italia è da sempre grande produttore. Tra i più noti il Tutone, la Sambuca, il Varnelli e l’Anisetta, gli ultimi due rigorosamente marchigiani.

Nei primi l’ingrediente principale è  l’anice stellato: nell’ “Anice Unico Tutone” che nasce a Palermo nel 1813, si unisce a parti di anice verde e cumino secondo una ricetta tenuta ancora oggi segreta, nella dolce Sambuca nel 1851 Luigi Manzi  a Civitavecchia lo distilla con  finocchio e fiori di sambuco .

Sono invece principalmente a base di anice verde gli altri due, vanto della liquoreria marchigiana, che ha radici lontane nel tempo  perché  sulle colline del Piceno (Castignano, Appignano del Tronto, Offida), particolarmente  favorevoli per clima e suolo, da secoli cresce una varietà  (Anice Verde di Castignano), che deriva da un ceppo nostrano unito nel 1300 con uno di origini mediorientali, che presenta particolari caratteristiche di aromaticità e sapore per il contenuto di anetolo superiore a quello di altri siti. Il valore di questa coltivazione,che oggi è ridotta a modeste quantità, è stato salvaguardato anche con una legge della Regione Marche del 2003 che ha evitato l’estinzione dell’ecotipo. Alla fine del 700, invece le coltivazioni erano molto diffuse e quindi i distillati di anice molto radicati nella tradizione contadina. Nell’800 si perfezionarono  le tecniche di distillazione e prese avvio, nella liquoreria, una fiorente  produzione industriale che continua ancora oggi.

Dal 1870 ad Ascoli Piceno le qualità dell’ Anice Verde di Castignano contribuirono a rendere particolare il gusto dell’Anisetta Meletti, nata ad opera di Silvio Meletti, che perfezionò la ricetta materna distillando la materia prima con un alambicco da lui disegnato.

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Dalla distilleria Varnelli, nel maceratese, ad inizi secolo venne messa a punto  una versione secca speciale del popolare mistrà, distillato introdotto in terra picena  da marinai originari del fermano, al soldo dei Veneziani, che avevano conosciuto l’ouzo in Grecia. Venne così messo in commercio il ‘Varnelli’ che diventò il fiore all’occhiello dell’azienda prendendone il nome.

In tutte le Marche,  il Varnelli e ‘lo mistrà’, che ancora si prepara  artigianalmente nelle campagne, sono ancora oggi il  dopopasto per eccellenza, bevuti lisci , ma soprattutto  usati  per correggere il caffè o l’orzo al  quale  donano  gusto  particolare 

CUORE D’ANICE

Ingredienti x 4 persone
Gelatina al mistrà
25 g di mistrà
121 g di acqua
50 g di zucchero
4 g di gelatina
Scaldare l’acqua, sciogliere bene lo zucchero e unire la gelatina precedentemente idratata. Unire il mistrà fuori dal fuoco. Colare in uno stampo foderato nella parte inferiore con un foglio di acetato ed esternamente con pellicola .Lo spessore dovrà essere di circa mezzo centimetro. Mettere in frigo a rassodare per qualche ora.
Mousse all’anice e cioccolato bianco
90 g di panna
2 cucchiaini di semi di anice
16 g di tuorli
11 g di zucchero
3 g di gelatina
27 gr di cioccolato bianco
125 gr di panna fresca
Portare a bollore 70 g di panna con i semi di anic pestati. Lasciare in infusione in frigoper almeno 12 ore coperto da pellicola. Filtrare e riportare al volume iniziale.Idratare la gelatina. Fondere il cioccolato tritato in piccoli pezzi. Mescolare i tuorli con lo zucchero e aggiungere la panna all’anice a temperatura ambiente.
Portare sul fuoco mescolando fino a 85°. Togliere dal fuoco e versare sul cioccolato in 3 volte sempre amalgamando. Unire la gelatina strizzata. Far raffreddare.
Quando la temperatura scende sui 35° unire la panna montata morbida. Versare in stampi a semisfera e congelare .
Biscotto
70 g di mandorle tostate
90 g di zucchero semolato
1 uovo + 1 albume
20 gr di farina
20 gr di fecola
25 gr di burro
Scaldare le mandorle in forno e frullarne 55 g insieme a 65 g di zucchero.Tritare grossolanamente le mandorle rimanenti. Sciogliere il burro al microonde e setacciare la farina e la fecola.
In una ciotola battere l’uovo con una frusta e aggiungere le mandorle in polvere ed a pezzi e lo  zucchero.
Amalgamare bene. A parte montare l’albume a neve ben ferma  aggiungendo gradualmente 25 g di zucchero.Unire alla montata di uova poca meringa così da rendere il composto fluido , poi le polveri setacciate e infine il resto della meringa con un movimento dall’alto verso il basso. Versare il burro fuso e amalgamare delicatamente. Stendere il composto su una teglia coperta di carta da forno e cuocere a 200° per 8/10min. Con questa dose viene un rettangolo di circa 30×20 cm. Appena sfornato ritagliare con un coppapasta  tanti cerchi  di 5/6 cm di diametro.
Bavarese al caffè
100 g di caffè espresso
100 g di latte intero
70 g di zucchero semolato
60 g di tuorli
6 g di gelatina
250 g di panna fresca
Scaldare il caffè e il latte. Idratare la gelatina. Mescolare i tuorli con lo zucchero in una ciotola. Versarvi i liquidi,amalgamare e rimettere tutto sul fuoco mescolando con una spatola. Portare la temperatura a 85° . Aspettare qualche secondo e unire la gelatina idratata. Far sciogliere e con l’aiuto di un frullatore ad immersione mescolare bene.
Far intiepidire il composto fino a 30° gradi. Unire la panna semimontata  ma sostenuta  mescolando delicatamente dal basso verso l’alto. Nel frattempo disporre su un vassoio gli stampi in silicone(diametro 6cm). Versarvi un leggero strato di bavarese, farla rapprendere in frigo, aggiungere all’interno la semisfera di mousse all’anice. completare con la bavarese fino a 2/3 dell’altezza  dello stampi e chiudere con il biscotto . Riempire eventuali buchi con la bavarese e porre in congelatore per 2/3 ore minimo.
Salsa di cioccolato e caffè
50 gr di caffè espresso
30 gr di zucchero
40 gr di cioccolato al latte
Preparare uno sciroppo con zucchero e caffè. Far leggermente intepidire. Far sciogliere il cioccolato al microonde e versarci in 3 volte lo sciroppo. L’ultima volta versare poco liquido alla volta per controllare la consistenza desiderata. Va usata tiepida.
Decorazione :
Caffè in polvere,Chicchi di caffè di cioccolato o chicchi di caffè ricoperti al cioccolato, crumble al cioccolato*, fili di isomalto*, baccello di vaniglia*. * Aggiunte dello chef Errico Recanati
Assemblaggio
Togliere il dolce dallo stampo e  ricoprire una parte del bordo con la polvere di  caffé. Tenere in frigo per qualche ora per far riprendere  la consistenza ottimale.
Al momento di servire versare la salsa tiepida di caffè nel piatto, disporvi sopra  delicatamente il dolce. Aggiungere un disco di gelatina al mistrà  e qualche chicco di caffè. Completare, volendo e potendo,  con fili di isomalto,  crumble al cioccolato e  baccello di vaniglia.

Testo e ricetta diTina Tarabelli

Foto copertina Manuela Valentini – dolce Emanuela Ercoli

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