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Croccanti o morbidi, semplici o farciti, sott’olio o al naturale, i pomodori secchi sono tra i più apprezzati stuzzichini da antipasto o buffet.

Non solo: preziosi ingredienti di creme spalmabili, insaporiscono condimenti e sughi, colorano zuppe, arricchiscono contorni e secondi piatti.

La preparazione, sebbene lunga e laboriosa, è piuttosto semplice. La vera difficoltà sta nel reperire le materie prime fondamentali, che sono i pomodorini di forma oblunga tipo sammarzano o datterini, e il sole.

Il sole è l’elemento cardine per la buona riuscita della preparazione: deve essere continuo, caldo, non filtrato da nuvole e smog; insomma, il sole del Sud.

Chiaramente, si possono utilizzare in alternativa essiccatori e forni: ma potrà mai essere la stessa cosa?

No, per assaporare a pieno il vero gusto dei pomodori secchi ci vuole il procedimento originale, tramandato da secoli per l’esigenza di conservare per i periodi di magra, il cibo reperibile in quantità in altre stagioni.

Un’arte nella quale le donne del Sud sono, storicamente, maestre.

Le piantine di pomodori sono sempre state presenti negli orti, ma non solo: su balconi e terrazze si inerpicavano i lunghi steli verdi, partendo dai vasi lungo i fili di rafia tirati tra un piano e l’altro, a formare un colorato e appetitoso separé.

Amorevolmente innaffiate con acqua piovana raccolta negli appositi contenitori, più o meno improvvisati e nutrite con i fondi di caffè (più spesso di cicoria), in agosto restituivano le premure regalando i loro lucidi frutti.

Una parte dei pomodori veniva strappata al consumo immediato e accuratamente pulita con uno strofinaccio, perché “l’acqua non la devono vedere più”.

Tagliati a metà per il lungo, i pomodori erano accuratamente sistemati con la parte tagliata verso l’alto sugli appositi graticci di giunco, i “cannizzi”, preparati dai maestri cestai e di cui ogni famiglia era provvista, in quanto servivano anche per essiccare, ad esempio,  i fichi, i funghi, le olive, la pasta.

Una volta disposti sui cannizzi, i pomodori venivano esposti al sole durante la giornata e riposti in luogo riparato durante la notte, per un periodo variabile dai 20 ai 40 giorni.

Per proteggerli da impurità ed insetti,  era diffusa l’usanza di utilizzare il velo da sposa, che dopo il matrimonio serviva a coprire la culletta dei neonati, poi a proteggere i cannizzi ed infine a velare il volto della proprietaria, accompagnandola fino all’ultimo viaggio. Una tradizione ancora viva in alcuni paesi dell’entroterra presilano.

I pomodori ormai ben secchi vengono a questo punto scottati per breve tempo in acqua e aceto (per la corretta procedura di conservazione dei sott’oli, leggete questo articolo), poi farciti con acciughe e capperi, oppure alternati a strati di peperoncino, aglio e basilico, pressati nei vasetti e ricoperti di olio.

I vasetti ben chiusi vengono poi fatti bollire per mezz’ora.

Questa una delle procedure più recenti. Un tempo, probabilmente, c’era meno informazione e minore accortezza, per cui era molto alto il rischio di avvelenamento da botulino. Fortunatamente il pomodoro è un prodotto piuttosto acido e questo aiutava in parte a contenere i possibili rischi. Vi raccomandiamo, tuttavia, la massima attenzione nella preparazione casalinghe delle conserve.

Tramandiamo, com’è giusto, usanze e tradizioni, ma con consapevolezza e sicurezza.

 

Immagine di copertina di….

Fotografie di Anna Laura Mattesini

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