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A Genova, tutte le famiglie o quasi possiedono un mortaio di marmo, con regolare pestello, di legno.

Il punto è che non sanno più dove l’han messo…

Ok, lo so: è un’aberrazione. Un delitto. Una roba da far rivoltare i nostri avi nella tomba, un vil rifiuto delle nostre radici perchè che il basilico, con le lame, diventi nero, è cosa che sappiamo fin da piccoli (anche se non è proprio vero…) assieme ad altri dogmi indiscutibili, come che i Genovesi son parsimoniosi (chi ha detto tirchi?). Però, il pesto col mortaio non lo fa più nessuno. I più solerti, usano la mezzaluna; i più moderni, il frullatore; i più sedotti dalla contemporaneità, il bimby o derivati: ma, in tutti i casi, è il fatal colpo della lama, quello che sminuzza il nostro basilico, fino a trasformarlo in una delle salse più famose del mondo e, ci si perdoni il campanilismo del tifo, la migliore di tutte.

 

Partiamo dai fondamentali. Per noi, non esiste altro pesto che il nostro. O meglio: esiste il “pesto alla trapanese”- e ci piace pure; esiste  il pesto alla calabrese; esiste pure  il pesto alla siciliana. Ma quando si parla del “pesto”, non aggiungeteci “alla genovese”, per favore, perchè non ce n’è bisogno. Il pesto è uno- ed è solo quello che si fa qui. Prendetemi alla lettera, in questo caso, perchè mai come in questo caso il km 0 detta legge: perchè è il basilico, l’ingrediente che fa la differenza.

Noi lo raccogliamo ancora in fasce, appena spuntano le foglioline, alla faccia del resto del mondo che ci taccia di avarizia- e poi le contiamo ad una ad una, trenta foglie, uno spicchio d’aglio- e guai a far trentuno, alla faccia del resto del mondo etc etc.

Le dosi son codificate, da un disciplinare che però, absit iniuria verbis, tutela il prodotto, non la ricetta. Perchè quella, diciamocelo chiaro, una volta per tutte, non c’è. Il Pesto nasce da tre ingredienti, basilico, aglio e olio e poi si evolve e si modifica nei secoli, senza mai trovare una codificazione fissa, anche perchè, e diciamo chiaro anche questo, una volta per tutte, non si è mai visto fare il pesto con la bilancia.  si usano le dita, gli occhi, la punta della lingua, per aggiustarlo di sale o di olio. Ma le dosi, ce le tramandiamo di casa in casa, di famiglia in famiglia. E, come sempre, famiglia che vai, segreto che trovi.  e quindi,  eccovi quelli di casa nostra:

1. senza aglio, non è pesto. Potete ridurne la dose, potete anche ricorrere al vecchio trucco di passare uno spicchio sulle pareti della ciotola dove preparate la salsa, solo per lasciare il profumo e non il sapore, ma l’aglio ci va. Poi, se non vi piace, toglietelo: ma allora parlate di salsa al basilico. Perchè il pesto vuole l’aglio- e pure ad abundantiam

2. noi non laveremmo il basilico. Prendete il condizionale e dilatatelo il piu possibile, perchè lo sappiamo benissimo che il tempo oggi è quel che è (meno di quello di una volta, comunque) e una doccia scozzese sotto il rubinetto non sarà la morte di nessuno.  Però, da piccola, mi ricordo tavoli di cucina col ripiano di marmo, strofinacci inumiditi (che da noi si chiamano picaggette) e montagnette di foglie di basilico, di qui quelle sporche, di lì quelle “nette”, pronte per essere trasformate in pesto. Oggi è cambiato tutto e per quanto il getto d’acqua non sia un toccasana per queste foglioline, è meglio lavarle. Tenete però presente che quello che rovina veramente il basilico non è l’acqua tout court, ma l’acqua che rimane, mentre si fa il pesto. Quindi, l’essenziale è che le foglie siano perfettamente asciutte, prima di iniziare. Stenedetele su un canovaccio pulito e lasciatele li .

3. Parmigiano E Pecorino. L’alternativa non abita qui. Le dosi canoniche sarebbero di 2 a 1 (alzi la mano chi pesa le dosi canoniche, però), entrambi stagionati. Poi, come sempre, va a gusti e a disponibilità del frigo perchè, ebbene sì, il pesto lo facciamo ancora sul momento. Ma che non sia roba da signorine, ormai dovreste averlo capito. Per cui, formaggio nel pesto- e anche sopra le trenette, grazie.

4. olio: rigorosamente extravergine, rigorosamente delle nostre parti, rigorosamente a occhio. Un dito di extravergine sopra il pesto, in un barattolo ben chiuso, è quello che lo preserva dall’ossidazione, in frigorifero.

5. ‘na stissa de bitiro. Oldani non aveva proprio tutti i torti, quando ha suscitato lo tzunami di indignazione dei talebani, parlando di burro nel pesto. L’errore era il “dove” va messa, questa nocciolina di burro: non nella salsa, ma nella fiammanghilla, ossia nella terrina dove condirete le trenette. Non è un obbligo, sia chiaro, ma un trucco delle nonne per contenere i rischi di una salsa dal sapore forte e gagliardo. Il burro ammorbidisce, insomma, anche il sapore. (per la cronaca, le nonne non ci pensavano, alle consistenze e alle cremosità. Pensavano a risparmiare, come tutte le nonne sagge del mondo. I pinoli, che poi son quelli che rendono il pesto cremoso, costano. e uno stisinin de bitiru, per giunta nella terrina, non si sente nemmeno :).

6. Noci si, anche se in casa mia non si sono mai viste. Ma noi siamo gente di mare, la Liguria è fatta anche di tanto (e meraviglioso) entroterra. E qui si usavano e si usano ancora.

7. infine, la madre di tutti i consigli: GUAI a voi se lo cuocete. Mal ve ne incolga. Direttamente nella fiammanghilla- e lo stemperate con un po’ di acqua di cottura della pasta, fino ad ottenere una bella crema liscia. Tenete da parte sempre un po’ d’acqua di cottura, nel caso doveste allungarlo ancora un po’ e servite con una bella spolverata di Parmigiano reggiano.

6. Fagiolini e patate sono un’altra ricetta. O meglio, un’altra non-ricetta, perchè se volete ottenere un’espressione di sincero smarrimento sulla faccia di un Genovese, chiedetegli quante patate e quante fagiolini e avrete di fronte l’incarnazione dell’idea platonica del “ma che belinate dice, questo qui?”. Per mia nonna, per dire, era inconcepibile fare anche una pasta al burro senza una patata dentro. Retaggio dei tempi duri, ma anche un trucco infallibile per avere un piatto cremoso e avvolgente come mai ne ho più mangiati, nella vita. I fagiolini sono di stagione.

Una curiosità. Le trenette avvantaggiate con cui tanti ristoranti nominano il piatto di trenette al pesto con fagiolini e patate è un errore che grida vendetta al cospetto di Dio. Avvantaggiato, da noi, è tutto quello che si prepara con un’aggiunta di farina che oggi, benevolmente, potremmo definire “integrale”, ma un tempo era crusca, bella (mica tanto) e buona. Mangiare un piatto di trenette avvantaggiate significava avere lo stomaco pieno già alla terza forchettata, cosa che invece non capitava con le trenette bianche. Il che costituiva un bel “vantaggio”, allora come ora.

Oggi il Pesto è la seconda salsa più venduta al mondo e questo, naturalmente, ci rallegra. Il sorriso sparisce, nel vedere che cosa viene spacciato per Pesto e che cosa viene condito con quello. Le noci sono ammesse, il prezzemolo è vietato, sugli anacardi scatta l’anatema. La tradizione aborre gli spaghetti : solo trenette, formato di pasta autoctono che poi ha cambiato nome in bavette e linguine. Ma provate a chiedere delle linguine al pesto a Genova e vedrete i camerieri armeggiare con Google translate. Altro piatto iconico sono gli gnocchi di patate e, a Recco e dintorni, le trofiette (anche quelle di farina di castagne, per i palati più fini). Le Trofie, in genovese, sono gli gnocchi, ricordatevelo. La pasta a cavatappi che mangiate nel Tigullio si chiama troffiette, con una o due f, non fa differenza. Fondamentale, la cucchiaiata di pesto a crudo nel minestrone, che diventa cosi “alla genovese” (per il resto del mondo. Per noi, è sempre “u minestrun”).  Per ricchi fighetti , si arriva all’abominio della cottura nelle lasagne al forno, dette alla Portofino perchè lì e solo lì potevano nascere, per tacer delle famigerate crespelle, icona della cucina Anni Ottanta. Sulla quale però si finisce sempre per capitolare, perchè, dogma o non dogma, noi Genovesi sappiamo resistere a tutto, tranne che al profumo di pesto. E diteci voi se ci sbagliamo….

Testo di Alessandra Gennaro

Immagini di Ilaria Talimani

2 Comments

  • Katia Zanghì

    11 Settembre 2017 at 10:22

    L’articolo che mi aspettavo di leggere, e anche di più.
    Grazie!

  • Redazione

    13 Settembre 2017 at 17:42

    Adoro.

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