Ogni cucina racconta il territorio a cui appartiene e quella del Friuli fa parte di un comprensorio vasto e complesso.
C’è una grande diversità fra la cucina del Friuli e quella della Venezia Giulia, ma anche altre differenze, non meno importanti, esistono persino fra la cucina di Udine e quella di Cividale e delle Valli del Natisone, fra quella di Pordenone e di Sacile, fra quella di Gorizia e di Monfalcone e si potrebbe continuare con altre significative diversità proprio perché ogni cucina si è sviluppata utilizzando i prodotti del posto ai quali ha unito, nel corso del tempo, i prodotti arrivati da fuori. Ogni valle, ogni paese, ogni borgata ha la sua cucina, figlia di antiche e consolidate tradizioni ma la bellezza e la originalità di quella friulana, pur essendo prevalentemente una cucina povera (patate, orzo, rape, granoturco, maiale e formaggi sono le principali materie prime) è comunque percorsa da un filo conduttore che lega le varie influenze asburgiche, ebraiche, greche, ungheresi e boeme che si sono succedute nella regione: l’accostamento dolce e salato e i Cjalsons ne sono forse la più conosciuta espressione.
Con questo nome (Cjalsons, Cjarsons, Cjalzons secondo le zone) si intende una grande famiglia di pasta ripiena. Questo nome deriva forse dal francese calisson, a sua volta di derivazione turca, ma è più probabile che derivi dal francese caleçons (calzoni), infatti, Cjalsons in lingua friulana significa proprio calzoni. Sono una preparazione abbastanza diffusa in pianura ma maggiormente in quel di Carnia, territorio che vanta una cucina dalle forti connotazioni identitarie.
Possono essere di diverse forme, tondi, a mezzaluna, a feluca da carabiniere, a barchetta; le misure possono variare, ma è tutto molto soggettivo, ogni famiglia adotta quella che preferisce o addirittura ne crea di proprie. In pianura è presente la carne, nelle montagne invece non compare quasi mai e la pasta è fatta prevalentemente di acqua e farina, molto raramente nelle ricette sono previste le uova, oppure può essere anche di sole patate.
Quello che cambia moltissimo da zona a zona è il ripieno (pistùm o pastùm) che a volte è dolce e a volte è salato. In realtà questo è dovuto alla storia di questo territorio, ed è strettamente legato alla vita dei cramârs. Solo qualche secolo fa questi coraggiosi armati di crassigne (una sorta di zaino di legno diviso in piccoli cassetti in cui custodivano la merce) attraversavano a piedi le Alpi affrontando impervie montagne e rigide condizioni climatiche per vendere nei paesi germanici la preziosa ed esotica mercanzia che riuscivano ad accaparrarsi a Venezia. Col ricavato di questo commercio mantenevano la famiglia e una volta fatto ritorno a casa dopo tanti mesi di lontananza, era festa grande. E quello che alla fine restava sul fondo dei cassetti delle crassigne, finiva nel ripieno dei Cjalsons che le donne preparavano per festeggiare. Potevano essere spezie, uva sultanina e frutta secca, (prugne, fichi) ma anche biscotti e cacao, canditi, erbe (menta e melissa) e il ripieno ovviamente cambiava ogni volta, di anno in anno, di casa in casa. Al contrario, la versione salata è ricca di ricotta affumicata, patate lesse, cipolla arrostita ed erbe.
Tradizione voleva che in Carnia venissero preparati per la vigilia di Natale come piatto di magro, in pianura invece, era tradizione pasquale. Ogni ricetta, ogni versione, prende il nome dai paesi o dalle valli di riferimento, e sono noti i Cjalsons di Cercivento, di Pesariis, di Ovaro, di Pontebba, di Timau, della Val Gortana, della Valle del But ecc.ecc. e non c’è famiglia friulana che non abbia una sua ricetta codificata, tramandata di generazione in generazione e custodita come un prezioso cimelio da trasmettere ai propri discendenti.
Una cucina articolata, varia e complessa, con una forte identità quella del Friuli, molto attenta a preservare le proprie radici e i Cjalsons lo testimoniano pienamente.
La ricetta è quella tradizionale della mia famiglia, quella che faceva mia nonna e che faceva sua madre prima di lei.
Cjalsons di casa Fabris
Per la pasta:
- 250 g farina 00
- Acqua tiepida q.b.
- 1 pizzico di sale
- 1 uovo per spennellare
Per il ripieno:
- 300 g patate
- 1 piccola cipolla
- 50 g burro
- 1 ciuffo di prezzemolo
- 1 ciuffo di menta fresca
- Scorza di mezzo limone
- 60 g uvetta sultanina
- 1 cucchiaio di zucchero
- 1 cucchiaio di vino bianco
- Cannella in polvere
- Sale, pepe
Per la cottura:
brodo di carne q.b.
Per condire:
- ricotta affumicata q.b.
- 80 g burro
- Cannella in polvere
Sulla spianatoia fate la classica fontana con la farina a cui avrete aggiunto un pizzico di sale e cominciate ad unire poca acqua tiepida per volta, fino ad ottenere un impasto lavorabile. La quantità dipenderà da quanta ne assorbirà la farina. L’importante è che sia morbido ma consistente.
Trasferitelo sulla spianatoia infarinata e lavoratelo per qualche minuto, poi raccoglietelo a palla e lasciatelo riposare per una mezz’ora, coperto.
Nel frattempo cuocete le patate con la buccia.
Mentre le patate cuociono, mettete a bagno l’uvetta in acqua tiepida, profumata con il cucchiaio di vino bianco. Lasciatela rinvenire per circa 15 minuti, poi scolatela, asciugatela bene e tritatela grossolanamente a coltello.
Tritate il prezzemolo insieme alla menta.
In un tegamino fondete il burro e unite la cipolla tritata abbastanza finemente e lasciatela appassire senza farla scurire.
Quando le patate saranno cotte, passatele al passapatate e raccogliete il puré in una terrina, aggiungete il trito di erbe aromatiche, la cipolla tritata con un poco del suo fondo, l’uvetta, la scorza di limone, la cannella, il cucchiaio di zucchero, sale e pepe.
Mescolate tutto molto bene e tenete da parte.
Ora stendete la pasta col mattarello a uno spessore sottile. Con un coppapasta o con un bicchiere, ricavate dei dischi di 6 o 7 cm. di diametro.
Ponete al centro di ogni disco di pasta un poco del ripieno di patate.
Sbattete l’uovo e con un pennello spennellate i bordi di pasta intorno al ripieno, chiudete il raviolo a mezzaluna sigillando bene i bordi, e fate delle piccole pieghe lungo bordo.
Fondete il burro che servirà da condimento, fatelo scurire leggermente.
Portate a ebollizione del brodo di carne. Quando inizia il bollore, tuffate i cjarsons, pochi alla volta, nel brodo, portate a cottura. Man mano vengono a galla continuate il bollore ancora per qualche minuto, poi prelevateli con una larga schiumarola e versateli man mano in un largo piatto o una pirofila precedentemente scaldati. Quando la cottura di tutti i cjalsons è terminata, conditeli con il burro fuso, una spolverata di cannella e una generosa grattugiata di ricotta affumicata.
Testo e foto di Giuliana Fabris