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Proprio oggi 17 gennaio  si festeggia S. Antonio Abate  protettore degli animali,  giorno in cui nel Medioevo si festeggiava la fine della macellazione dei maiali iniziata  a metà dicembre. Da qui deriva la tradizione di cucinare le parti  meno nobili  del maiale in uno stufato grasso con le verze, altro elemento basilare della cucina contadina lombarda, e  che a  Milano e  in Lombardia  è rappresentato dalla Cassoeula ma che ha corrispondenze simili nei potée francesi o nella choucroute Alsaziana e il Sauerkraut tedesco.

La sua origine è abbastanza controversa, leggenda vuole che un soldato spagnolo invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta, ma al di là delle leggende, gli storici indicano  nel ricettario di Ruperto di Nola, la prima ricetta riconducibile a questo piatto.  Ruperto, considerato uno dei padri della gastronomia spagnola, fu al servizio della corte Aragonese di Napoli  nel corso del XV secolo. Il suo libro “Llibre del Coch” contiene una ricetta di “Cassola de carn” che può ricondurre alla Cassoeula.  Ma sarà nel 1826 che il comasco Odescalchi, nel suo libro “il cuoco senza pretese”  scrive la prima ricetta lombarda di questo piatto.

Questo piatto della tradizione milanese e lombarda è uno dei più gustosi e più ricchi, anche di calorie. Perfetto per i mesi invernali a condizione che  la verza, ingrediente importante di questo piatto,  per essere saporita e dolce e non perdersi in cottura,  abbia  preso la brina, il gelo. Accanto alla verza c’è l’ingrediente principe, il maiale, in tutte le sue parti meno nobili: cotenna, salsicce, piedini, orecchie, costine e, per i più coraggiosi, la testa.

Ovviamente, ogni zona della Lombardia  ha le sue usanze e tradizioni in merito alla Cassoeula:

  • Nel comasco non ci sono i piedini e il battuto di verdure, però ci va il vino bianco e la testa
  • In Brianza e nel varesotto  è più asciutta rispetto a quella milanese, e vengono utilizzati i verzini (piccole salsicce delicate insaccate appositamente) e il battuto di verdure è più grossolano, lo si deve vedere.
  • Nella bergamasca viene aggiunto talvolta il cavolo cappuccio
  • Nel pavese sono usate solo le puntine e il piatto cambia nome in Ragò e se ne fa anche una versione con la carne di oca.
  • Nel novarese altrettanto si può trovare con la carne d’oca
  • Nel milanese si utilizzano, oltre a tutto quello previsto, anche la carne del musetto, e le orecchie.

Per la ricetta ci affidiamo  alla meravigliosa penna di Gianni Brera che scrisse a quattro mani con Luigi  Veronelli “La Pacciada”  un libro di ricordi e di sapori, l’affresco che si celebra nelle terre solcate dal Po di una mangiata che non sacrifica la qualità alla quantità ma fonde  tutto insieme alla antica sapienza che fa sì che ogni uomo sia anche ciò che mangia.

Spacco il piedino del maiale in due nella lunghezza, lo lavo e lo metto in casseruola con le cotenne ben raschiate, passate alla fiamma e nettate; li copro abbondantemente d’acqua e passo in cottura a calore moderato. Sgocciolo prima le cotenne, un’ora circa di cottura, il piedino dopo altri 30- 40 minuti; taglio le cotenne a pezzi rettangolari, il piedino a tronchetti; tengo a parte tre decilitri di cottura accuratamente sgrassato. Taglio a pezzi le costine; bucherello i salamini, sfoglio e lavo le verze. Metto in un tegame un  trito di sedano, carota e cipolla  con la noce di burro; lo faccio imbiondire a calore moderato; aggiungo le costine le cotenne e i tronchetti di piedino. Condisco con sale e pepe: bagno con i tre decilitri del liquido di cottura tenuto da parte e faccio prendere l’ebollizione; continuo la cottura per un’ora, mescolando sovente; poco prima di togliere dal fuoco aggiungo i salamini e le verze; finisco di cuocere tutt’assieme; mi assicuro che ogni elemento sia ben cotto e la poca salsa piuttosto densa. Servo caldissimo.

(La Pacciada di Gianni Brera e Luigi Veronelli, 1977).

 

Articolo di Giuliana Fabris

Foto Cassoeula di Alimentipedia

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