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Per comprendere ed apprezzare una ricetta della tradizione non basta saperne gli ingredienti ed i passaggi necessari alla sua realizzazione, è importante- se non fondamentale- inquadrarla nel suo territorio, nel contesto che le ha dato vita, conoscerne la sua storia. La Torta Pasqualina è una delle eccellenze liguri forse più conosciute ed apprezzate: abbiamo chiesto di parlarci di questa meravigliosa ricetta a Sergio Rossi e non solo perché autore del libro ”Le ventiquattro bellezze della torta Pasqualina. Quattro ricette fondamentali per un capolavoro” ma anche e soprattutto perché ligure, fine ed acuto conoscitore del territorio, dei suoi prodotti e delle sue tradizioni. Attraverso poche, non certo originalissime domande, ci ha restituito il quadro di una preparazione che non poteva nascere in nessun altro luogo, portata avanti- quasi immutata- nel tempo seguendo la tradizione e l’affetto verso di essa dei genovesi.

La Torta Pasqualina è una preparazione, come suggerirebbe il nome, legata alla Pasqua? A che tipo di consumo era ed è destinata?

Diciamo che la Torta Pasqualina in realtà si mangia tutto l’anno, e non solo di questi tempi ma da sempre. Nei ricettari ottocenteschi delle famiglie nobili genovesi si trova talvolta la voce “torta di Pasqua” che di solito era fatta con uno strato di bietole e uno strato di prescinseua, un formaggio fresco leggermente acidulo. Al di sopra del formaggio si ponevano un numero indefinito di uova depositato in una piccola fossetta praticata sulla prescinseua con un cucchiaio. Comunemente si usava una sfoglia sotto e due o tre sopra, le superiori particolarmente sottili. Sopra l’ultima sfoglia spesso si aggiungevano le iniziali di chi la confezionava o del capo famiglia; qualcuno dice per vezzo, ma io credo soprattutto per riconoscere la propria torta, visto che per la cottura spesso ci si rivolgeva ai fornai. Una sorta di leggenda dice che le Pasqualine si facevano con 33 sfoglie, come gli anni di Gesù Cristo. Forse qualcuno lo avrà fatto, ma non ce n’è alcun bisogno e non sono neppure così certo che il risultato sia poi apprezzabile. Un dettaglio: i ricettari storici genovesi (due cuciniere scritte l’una nel 1863 e l’altra nel 1865) dicono che si chiama “pasqualina” la torta fatta con bietole e formaggio su due strati sovrapposti, mentre si chiamano “cappuccine” tutte le altre, nelle quali le verdure – non solo bietole, ma anche carciofi, porri… – vengono mescolati con uova, formaggio, erbe aromatiche ecc. 

 Quali sono gli ingredienti imprescindibili per la Pasqualina? Ci sono state dei cambiamenti della ricetta nel corso del tempo?

La Paqualina è di bietole e prescinseua con le uova intere – io consiglierei solo il tuorlo – poggiate sul formaggio. Al posto delle bietole talvolta si usa il cosiddetto “preboggion (pronuncia prebuggiun), un miscuglio variabile di erbe spontanee. La ricetta è quasi sempre quella che come sempre vive di elementi comuni condivisi ma con migliaia di piccole varianti. 

 Un dettaglio tecnico non da poco. La pasta per le cosiddette sfoglie deve essere morbidissima e altrettanto elastica poiché si tira a mano fino a farla diventare trasparente. Tutte le sfoglie che si pongono a copertura della torta, solitamente si fanno a forma di cupola intrappolando l’aria all’interno. Questa operazione si fa piuttosto facilmente poggiando la sfoglia su un lato del tegame e scuotendola come si fa con la tovaglia per poi lasciarla ricadere a chiusura di tutto il perimetro del tegame. Purtroppo c’è ancora gente che pensa di dover usare una cannuccia per poter gonfiare le sfoglie, cioè poggia le sfoglie sul tegame e poi soffia nella torta per gonfiarla. Lo può fare chi non sa fare altrimenti e cucina in casa per i propri familiari, ma un professionista non lo fa per ragioni igieniche e perché si può fare facilmente col metodo di cui sopra.  

 Quali sono le origini di questa ricetta?

Se ne trovano tracce documentali dal Medioevo anche se allora – e fino almeno a buona parte del Settecento – si chiamavano “gattafure“. Ne scrive la ricetta, per esempio, Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Pio V e autore del più importante trattato di cucina rinascimentale. Scappi parla di gattafura alla genovese nella versione con le bietole e nella variante con le cipolle. 

 Nel suo libro si parla di 4 ricette fondamentali: quali sono e in che cosa si differenziano?

Diciamo che quello era solo un titolo studiato da chi ha impaginato il libro. In realtà in quel capitolo ci sono due ricette attuali, una della pasqualina classica, bietole e prescinseua a strati, l’altra della torta di carciofi. Poi ci sono altre quattro ricette storiche, tratte dalle due cuciniere genovesi (G.B.Ratto, 1863; E. Rossi, 1865), due della pasqualina classica e due della cappuccia o cappuccina, nelle quali bietole, uova e prescinseua sono mescolate assieme e non disposte a strati. 

Viene rimarcata, perciò, la differenza che si faceva in passato fra Torta Pasqualina e Torta Cappuccina, distinzione che oggi Aggiungi un appuntamento per oggi si fa un po’ meno e che porta a chiamare “Torta Pasqualina” sia quella di bietole e prescinseua a strati, sia quella con gli ingredienti mescolati fra loro, che siano bietole o carciofi. Ma siamo nei dettagli quasi ininfluenti, poiché ciò che più conta, da che mondo è mondo, è la bontà del prodotto finito. Che poi si chiami in un modo o nell’altro ha davvero poca importanza perché il sapore per fortuna rimane il primo parametro di valutazione, grazie a Dio. 

Che cosa rappresenta la Pasqualina per i genovesi?

È la classica torta di Pasqua anche se intervistando i genovesi ci si sentirebbero dare definizioni diverse dall’uno all’altro: c’è chi considera Pasqualina solo la torta di carciofi, chi quella di bietole, chi quella col preboggion ecc.

Faccio un esempio per comprendere quanto i liguri fossero legati alle gattafure. Nell’immagine che raffigura un gioco della prima metà del Seicento – gioco della cuccagna, tipo un gioco dell’oca –, in ciascuna casella è ritratta una persona, legata al nome della propria città, con un cibo rappresentativo di quel luogo. Genova ha una donna con in mano un vassoio di gattafura e la scritta “Genova gattafura”. Per molti decenni – forse uno o due secoli – i genovesi erano considerati e rappresentati come mangiatori di gattafure, questo per dire il legame del popolo genovese con la propria torta. Ovviamente sappiamo che torte simili si ritrovano in molte altre regioni italiane, basti pensare, per esempio, a tutta la famiglia degli erbazzoni.   

Cosa racconta del territorio ligure la Pasqualina?

Innanzitutto dice della semplicità della nostra cucina e della grande e profonda tradizione da cui deriva. Poi racconta di verdure e ortaggi freschi e di formaggi altrettanto freschi, poiché da un lato il microclima è ideale per tante primizie e dall’altro nelle campagne a cornice dei centri maggiori ogni famiglia contadina aveva mediamente una o due vacche al massimo, quindi il latte disponibile era poco e non si facevano certo formaggi di grossa pezzatura adatti alla stagionatura.   

Per entrare passo passo nella realizzazione di una Pasqualina perfetta secondo la tradizione vi lasciamo con un video in cui la voce di Sergio Rossi e le sapienti mani della Sig.ra Enrichetta Trucco, ci guidano passo passo.

Testi e fotografie a cura di Sergio Rossi
Intervista a cura di Laura Bertolini – Rapporti con gli Chef e Ufficio Stampa
Si ringrazia Laboratorio Probabile Bellamy per il video
Si ringrazia la dolcissima Signora Enrichetta Trucco per la realizzazione della perfetta Torta Pasqualina

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