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Prima che l’Occidente iniziasse a parlare di cucina fusion, contaminando ingredienti, tecniche e ricette, i Vietnamiti avevano già consolidato questa pratica, con il Bàhn mi, il panino a forma di baguette (più corta e più larga), farcito con prodotti locali che accompagna i pasti e gli spuntini dell’unico popolo dell’Indocina che mangia panini imbottiti ad ogni angolo di strada.
Ad importare questa abitudine furono ovviamente i Francesi, ai tempi del dominio coloniale (1883-1954). I Vietnamiti, però, seppero subito impadronirsi di questo prodotto, adattandolo ai loro gusti e ai loro usi. Un popolo che nel proprio DNA non ha il grano ma lo street food, doveva per forza alleggerire da una parte e accorciare dall’altra: e così, ecco nascere una baguette corta e larga, perfetta per essere mangiata in piedi e tutta in una volta e con la farina di riso mescolata a quella di grano. Il risultato è un pane dalla crosta più morbida e dall’ impasto più arioso che in Vietnam viene venduto ad ogni angolo di strada, pronto per essere imbottito e poi mangiato.

Propriamente, Bàhn indicherebbe non il pane in senso generico, ma quello preparato con il grano (mi) . Come dicevo prima, qui il grano è l’eccezione, non la regola, tant’è che “pane” in senso lato si dice semplicemente Bàhn, con un termine che indica ancor più genericamente tutti gli impasti a base di farina di riso o di altri legumi. Prima di chiamarsi Bàhn mi, questo panino si chiamava Bàhn-Thay, ossia “panino occidentale”, il che lo assimilava ai piatti di tradizione francese, come il bo (il burro, molto simile nella pronuncia a beurre), il pho-mat (formaggio, da fromage) e la bit-tec (bisteck). Una volta divenuto cibo di strada – cosa che successe praticamente da subito, visto che in questi Paesi il cibo è di strada per definizione – il Bahn si liberò di tutti questi orpelli cerebrali per entrare a pieno titolo nella culutra gastronomica vietnamita come Bàhn mi.

In realtà, la faccenda è un pochino più complessa. In primo luogo, esistono decine di farciture, tutte individuate da una sillaba in fondo al nome, per la gioia di chi già fatica a dire “sandwiches” senza impappinarsi. Per strada non esistono cartelli, visto che i locali sanno perfettamente dove andare e le contaminazioni del turismo di massa, vivaddio, non sono ancora arrivate. Imparare a memoria la lista di Wikipedia, insomma, non servirebbe a nulla. Aggiungo che Vietnamiti sono un popolo straordinario, cordiale e simpatico – e rischiate seriamente che prima di avere il vostro panino, dobbiate aspettare che finiscano di ridere, di fronte alla vostra pronuncia di Bàhn -mi bi o Bàhn -mi chà bong.

L’unica regola da seguire, quindi, è quella che funziona in tutti gli street market del mondo: osservate il banco dove si è formata la coda più lunga, mettetevi in fila e prendete quello che vi danno. Sarà sicuramente un’esperienza indimenticabile (e non perché vi beccherete chissà quale infezione: quella, ve la prendete al ristorante, dove non va nessuno. I locali qui mangiano per strada e mangiano pure tanto. Lo smercio e il fresco, insomma, li trovate negli stalls e non fra le stars).

Altro mito da sfatare, i gusti. Per le strade di Ha noi o di Ho-chi-min non è vero che “du gust is megl’ che uan”. Di norma, ad ogni banco corrisponde un panino con un ripieno, per cui se volete il maiale andate a destra, se preferite il pollo andate a sinistra. Gli assortimenti sono solo nei bar e , soprattutto, nelle catene di cucina viet all’estero, con tanto di menu disegnato in stile ristorante cinese.

In tutti i casi, una volta ordinato il vostro panino, mettetevi comodi perché preparare un Bàhn mi è una roba seria, anche se si tratta solo di assemblare ingredienti già pronti. Ci vogliono tempo, concentrazione e gli otto immancabili elementi:

1. il pane. Impossibile da trovare alle vostre latitudini (ma anche alle mie: se voglio un Bàhn mi devo comprarlo già fatto), può essere sostituito con mezza baguette o – meglio ancora- con le nostre ciabatte. A Genova e in Piemonte abbiamo le “biove” che nella forma potrebbero avvicinarsi, ma non nella consistenza. La farina di riso, come dicevo, rende la crosta morbida: se preferite privilegiare la consistenza, usate una “ciabatta”

2. Peperoncino fresco: il più usato è il jalapeno. Rigorosamente senza semi e affettato sottile

3. Coriandolo: alla nota piccante del peperoncino si affianca quella fresca e pungente del coriandolo. Onnipresente nella cucina vietnamita, è spesso affiancato da altre fines herbes (ah, la France!): se non vi piace, potete sostituirlo con prezzemolo o basilico, thai o italiano.

4. Cetriolo: freschezza e croccantezza. In alternativa, lattuga romana oppure iceberg

5. Salse: si fa presto a dire “soy sauce”. Ogni farcitura ha praticamente il suo condimento che, neanche a dirlo, gioca un ruolo fondamentale nel bilanciamento degli ingredienti. Genericamente, bisogna orientarsi su qualcosa di sapido, piuttosto che speziato, perchè i sapori sono piuttosto netti e le spezie, in Far East sono praticamente dappertutto, anche nell’aria che si respira. Negli USA, dove questo panino furoreggia, esiste un Maggi seasoning che da solo dovrebbe assolvere a tutte le funzioni, a dispetto dei numerosi condimenti tipici della cucina vietnamita. Affidatevi ai vostri gusti e, mai come in questo caso, usatene solo poche gocce. Pochissime, se scegliete una Fish Sauce.

6. Mayonese: due ore che discuto col marito, alla ricerca del sapore perduto. Sui libri risulta, alla memoria del gusto no. Certo è che un grasso ci vuole, da spalmare sul pane e la mayonese, altrove sconosciuta (ne vanno pazzi i Giapponesi ma rispetto all’Indocina sono un mondo a parte), potrebbe appartenere al retaggio francese di cui sopra. Lo stesso dicasi delle altre due alternative, il burro salato e lo yogurt aromatizzato all’aglio (che ricorda tanto la crème fraîche). Se proprio non superate lo scetticismo, usate dell’avocado, meglio se frullato e spalmato sul pane. Ma una componente grassa, ci va

7. i Sottaceti: su questo, tutti d’accordo. Ottimi, abbondanti, variegati, sono quelli che danno colore al panino e rendono l’imbottitura una roba seria. Rispetto ai nostri, virano di più verso il dolce e sono piuttosto difficili da trovare nei supermercati. Vivo nella patria del cibo fermentato, prepararlo in casa è ancora una sana pratica quotidiana che, a pensarci bene, sarebbe opportuno che acquisissimo anche dalla nostra parte del mondo. Argomenti salutistici a parte, dal punto di vista del sapore non c’è paragone.

8. Carne, pesce o gli altri elementi che distinguono un Bàhn mi dagli infiniti altri. Sono la preparazione più elaborata, nel senso che alcuni tagli di carne richiedono ore, fra marinatura e cottura e sono naturalmente l’elemento cardine della farcia. E’ in base al loro sapore che dovete scegliere la salsa, per esempio, e regolare la sapidità dell’insieme. I più famosi sono quelli con la pancia del maiale (Pork Belly, fatico a tradurlo perchè “pancetta” in Italiano è un’altra cosa) e quelli con il paté (altra eredità francese, che ve lo dico a fare…), probabilmente i primi a circolare per le strade di questo Paese, riportando un piatto oggi raffinato alla sua vera origine, povera e popolare.

Ultima curiosità: dal 2011, l’ Oxford English Dictionary ha ufficializzato la scrittura senza l’accento. Bahn mi, insomma, va benissimo, anche se i nostalgici imputano questa variazione solo ad un problema di tastiere anglosassoni e continuano a scriverlo nella forma “italianizzata”.

Bibliofrafia
Nguyen, A. The Bahn mi handbookç reciper for crazy- delicious Vietnamese sandwiches, 2014

Testi e fotografie a cura di Alessandra Gennaro

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