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Chissà che cosa direbbero i nostri prodi antenati, maestri dell’arte dello spiedo, di fronte alla teoria di spiedini vezzosi  che accendono di colori e di allegria le tavole della loro progenie… Forse sospirerebbero, dicendo che non ci sono più gli spiedi di una volta, lamentandosi di come siamo caduti in basso, riducendo a poco più di uno stuzzicadenti quella che, nell’antichità, era un’arma di tutto rispetto. La cottura allo spiedo, infatti, una delle più antiche che la storia ricordi, nasce proprio in un contesto maschio, ancor più che maschile, nell’ambito di quelle attività di caccia rigorosamente riservate agli uomini. Non a caso, la ritroviamo citata spesso nei poemi omerici, a corollario di scene truculente, con costanti riferimenti al sangue, al fuoco e alla carne, tutti simboli di potere e di forza.

Da un punto di vista storico, lo spiedo è ciò che vien prima della pentola: il fuoco è già stato scoperto e, con questo, anche la cottura a calore diretto. Il problema da risolvere, adesso, è come evitare di cuocersi anche le dita: e se le comunità stanziali approntano una griglia fissa, quelle nomadi si dotano di bastoni di legno o, più spesso, delle loro stesse armi che si trasformano in strumenti di cottura. Lo spiedo con cui di giorno si è infilzata la preda della caccia, cioè, diventa l’antesignano del girarrosto, di sera, per preparare la cena.

L’abitudine non venne meno neppure dopo l’introduzione della pentola. La cottura a calore diretto, la carne arrosto, lo strumento che in realtà è un’arma avevano una tale valenza simbolica da resistere a qualsiasi innovazione tecnologica. Prova ne è che il grande cultore di questa tecnica fu un popolo dichiaratamente guerriero come quello dei Longobardi, dalla cui lingua deriva anche lo stesso termine “spiedo”. I rapporti sociali basati sulla forza si consolidavano nell’atto dell’arrostire una preda e, ancor di più, nel mangiarla: non a caso, la carne arrosto era la pietanza dei re e guai a rifiutarla o a mostrare scarso appetito: mangiare, nel Medio Evo, era un gesto politico, ancor prima che una necessità e la cottura allo spiedo restò nei secoli uno degli emblemi più immediati e diretti del potere: che lo si girasse manualmente sul fuoco o che ci si affidasse a sempre più complessi sistemi meccanici (ne inventò uno anche Leonardo Da Vinci), che lo si utilizzasse anche come arma o soltanto come caccavella :), lo spiedo restò una presenza costante nella cucina dell’umanità tutta, tanto da ritrovarlo ancora oggi in quasi tutte le parti del mondo, dal Gyros greco allo Shawarma arabo, fino alla grande tradizione del Sudamerica, con l’Asado argentino (il metodo a la cruz, anche se la cottura è indiretta e per nulla aggressiva) e il churrasco brasiliano e allo straordinario capitolo del Satay in Indocina. A preservarne la tradizione, non più la simbologia ma i risultati ottenuti con questo metodo, il solo che concili una buona affumicatura con una consistenza tenera e sugosa. Da qui, lo sviluppo degli spiedini, per poter godere degli stessi risultati tutti i giorni, con meno fatica e con più spazio alla fantasia.

E, come di consueto, qualche consiglio per ottenere spiedini perfetti…

  1. Toglietevi dalla testa che basti infilzare a caso pezzi di carne tutti uguali per ottenere uno spiedini come si deve. Questo, purtroppo, è il solo consiglio che non viene dato nei millanta articoli che affrontano l’argomento e che, magari, si soffermano sulla sezione dello spiedo o sulle misure del cubetto. Avere pezzi tutti uguali su uno spiedo che impedisca loro di ruotare come trottole eà sicuramente importante, per cuocerli uniformemente, ma non basta. La prima regola è orientarsi verso ingredienti che abbiano gli stessi tempi di cottura, evitando, per esempio, di assemblare il pollo con il manzo o con la salsiccia. Il minimo che vi possa capitare è mandar giù un’alternanza di bocconi crudi e bruciacchiati, il che non rappresenta certo il massimo per il palato
  2. Altro suggerimento importante. Alternate il grasso con  il magro, sempre per evitare spiedini troppo asciutti e quindi secchi o troppo unti e mollicci. E’ sempre bene ungerli con un velo d’olio extravergine, prima di procedere alla cottura
  3. E’ sempre preferibile il metodo della griglia rialzata, che evita il calore troppo diretto, con relative spiacevoli conseguenze. A meno che non vi piaccia il sapore del bruciato, intendo dire
  4. La marinatura è la regola, non l’eccezione. I tempi, i mix, le quantità dipendono, ancor prima che dai vostri gusti, dal tipo di ingredienti dello spiedino. La carne, per esempio, necessita di marinature più lunghe rispetto al pesce, ma non sono escluse marinature separate (specie nel caso della frutta). Quello che sto cercando di dirvi è che un buon spiedino necessita di tante attenzioni quante ne vengono riservate ai pezzi interi di carne o di pesce destinati alla griglia. Le dimensioni ridotte o l’accompagnamento con altri ingredienti lo rendono sicuramente meno impegnativo e più divertente da mangiare, ma non certo di categoria inferiore.
  5. Ultima annotazione, la fantasia del cuoco. Attenti a non trasformarla in un boomerang, con accostamenti troppo arditi, per non dire strampalati. Lo svuota frigo è ammesso nella misura in cui è sorretto da un minimo di buon gusto, non solo estetico e spesso basta una sola variazione, un solo tocco per innovare il già visto e dargli una marcia in più, rendendo i vostri spiedini davvero unici e speciali.

fonte: The Barktender. Spiedini Gourmet

testo di Alessandra Gennaro

Immagini di Paola Sartori 

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