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E’ impossibile pensare al Natale, al periodo dell’attesa che lo precede, ai giorni allegri e pieni delle Feste, senza pensare ai canditi.

Quei colori sgargianti, quell’apparenza così invitante, quella lucentezza e quella dolcezza che ben si associano al concetto stesso della festa e del festeggiare rendono questo prodotto irrinunciabile, soprattutto in questo frenetico ma meraviglioso periodo dell’anno.

La canditura è un processo che affonda le radici in un passato molto lontano, addirittura già in Mesopotamia e in Cina , anticamente, si era soliti , usarlo per conservare piante e radici e se si pensa all’abitudine degli antichi Romani di conservare il pesce all’interno di uno zucchero naturale come il miele, si comprende che in qualche modo anche loro erano vicini alla pratica della canditura.

Per incontrare però i canditi come noi li conosciamo dobbiamo aspettare il 1500 è in pieno periodo barocco che compaiono nelle pasticcerie e sulle tavole del nostro Paese. Si racconta che nel 1512, quando I Medici si trovavano in visita ufficiale a Roma in Campidoglio, ebbero la fortuna di poter gustare durante dei dessert in cui figuravano appunto i canditi; inoltre le prime testimonianze in merito che possiamo rintracciare nei trattati di cucina  e nei ricettari sono di questo stesso periodo.

Conosciuti molto probabilmente prima nelle regioni italiane d’influenza araba (il termine candito è legato al termine ‘qandi’ che in arabo indica il succo di canna da zucchero) hanno riscosso successo nel tempo fino a diventare un ingrediente irrinunciabile alla base di moltissimi prodotti di pasticceria e dessert: dal cannolo siciliano al panettone, dal panforte ai pani dolci.

Quello della canditura tradizionale è un procedimento molto lento che richiede pazienza e cura e che fa sì che si realizzi tra lo sciroppo di zucchero e la frutta un processo denominato ‘osmosi’ attraverso il quale lo sciroppo di zucchero penetra  in profondità nella frutta.

Da un lato l’acqua contenuta nella frutta o nella scorza fuoriesce e si porta dietro gli zuccheri semplici, dall’altro il glucosio e il saccarosio penetrano all’interno dell’alimento e finiscono con il mantenerlo morbido e ricco di gusto.  .
E’ un procedimento che, se eseguito con tutte le accortezze del caso, può protrarsi da un minimo di  tre giorni fino anche ad un massimo di dieci.

Forse anche per questo nel tempo è diventato un qualcosa ad appannaggio della grande produzione industriale, capace di velocizzare in tutto e per tutto il processo pagandone però l’amaro prezzo di una perdita consistente a livello di sapori e di equilibri, difatti, ad eccezione di alcuni rari casi per i quali si può parlare di eccellenza dell’artigianato alimentare, i canditi industriali niente hanno a che spartire con i canditi lavorati tradizionalmente risultando piatti a livello di sapori ed eccessivamente dolci.

Si possono candire la verdura come la frutta: il cedro è davvero ottimo, le ciliegine sfiziose, il sedano sorprendente ma sono le scorzette d’arancia candite l’emblema di questo delizioso universo e ne detengono senza dubbio lo scettro nei giorni freddi d’inverno, in cui abbondano le arance migliori e si è disposti a cedere alle tentazioni di dolci e dolcezze.

Per ottenere delle scorzette candite perfette sarebbe importante possedere un’attrezzatura specifica, come ad esempio uno strumento chiamato rifrattometro che si comporta come un piccolo cannocchiale in grado di controllare la canditura e lo stato dello sciroppo in corso d’opera; data, però, la scarsa probabilità di avere un rifrattometro a disposizione all’interno delle nostre case è giusto dire che è possibile ottenere comunque dei risultati apprzzabili ripercorrendo il più possibile i gesti pazienti ed amorevoli con cui le scorzette d’arancia candite venivano preparate dalle nostre nonne e dalle nostre zie, che nella maggior parte dei casi erano sprovviste dell’attrezzatura corretta.

 

Scorzette di arancia candite

  • 1 kg di scorza di arancia
  • 1 kg di zucchero( più quello per la rifinitura finale)
  • 1 l di acqua( più quella necessaria nei passaggi di ammollo e sbollentatura)

Per prima cosa è fondamentale ricordare l’importanza che riveste la percentuale di zucchero presente nello sciroppo utilizzato nella canditura e che in genere deve essere calcolato al momento della preparazione in un rapporto di 1:1 rispetto all’acqua. Altra cosa che è importante ricordare è che le arance scelte devono essere preferibilmente tra le Navel e le Washington e devono essere assolutamente non trattate e biologiche.

Detto ciò lavate con cura le arance e asciugatele con un canovaccio. Con un coltello incidetele a raggiera in senso verticale. Staccate delicatamente la scorza dal frutto, facendo attenzione a non romperla.

Mettete le scorze, dopo averle private della parte bianca, in un contenitore di vetro, copritele con acqua fredda e lasciatele a bagno per 48 ore in frigorifero, cambiando l’acqua almeno 5-6 volte.

Al termine di questa operazione scaldate una pentola d’acqua abbondante, immergetevi le bucce e portate ad ebollizione; scolate le scorze e ripetete per altre due volte.

L’ultima volta lasciatele in ammollo per una notte. La mattina successiva riprendetele, poggiatele su carta assorbente affinché siano ben scolate e pesatele; preparate una soluzione con la stessa quantità di zucchero ed acqua nuova. Immergetevi le bucce e fatele andare a fiamma dolce, fino a quando il liquido si sarà ritirato. Prelevate prima che caramellizzino e poggiatele su una gratella per far scolare il liquido in eccesso.

Lasciate asciugare le scorze sulla gratella per una mezz’ora poi spostale sulla carta forno, spolverizzando di zucchero. Lasciate riposare per 6 ore, poi tagliate le scorze a listarelle e passatele nello zucchero semolato fine eliminandone l’eccesso. Ecco pronte le vostre scorzette.

 

Testo, ricetta e foto di Francesca Geloso

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