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Con l’impero di Luigi XIV la lingua francese e la cultura in tutte le sue sfaccettature, cucina compresa, si sono diffuse  fuori dai confini francesi  laddove la lingua ufficiale era diventata  il francese.

Quando Maria Cristina d’Austria,  la figlia di Maria Teresa D’Asburgo, andò in sposa a Ferdinando I di Borbone nel 1768, fece di tutto per imporre la presenza dei cuochi francesi all’interno della corte rendendo la cucina elegante, ricca e sontuosa. I cuochi erano diventati persone di grande rispetto e fama notevole trattati a volte come se fossero veri e propri artisti. Non c’era una casa nobile nel Regno delle due Sicilie senza avere un Monsù (Monsieur) come capo ovvero Signore della cucina, colui che dava il tocco di eleganza e di originalità alle pietanze.  Venivano a volte chiamati con il loro nome di battesimo e il cognome della famiglia per la quale prestavano servizio e il titolo Monsù era motivo di orgoglio tramandandosi da padre in figlio.

Mentre per le occasioni ufficiali alle tavole baronali descritte così bene da De Roberto ne “I viceré” oppure da Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” venivano assaporati  i delicati e raffinati  sapori francesi , nel quotidiano gli stessi aristocratici preferivano ed esigevano una cucina più robusta, decisa e più facilmente riconoscibile.  Nascono così il Gateau  di patate, aglassato, i polli farciti di riso, i beccafico, la caponata agrodolce, il farcie de maigre i quali, trasformati  utilizzando gli ingredienti  meno esclusivi , più risparmiosi e trasportati nelle cucine della gente semplice diventarono gatò di patate, pomodori o peperoni ripieni di riso, sarde a beccafico, caponata non più con il pesce ma con sole verdure, il falso magro che per la verità di magro non ha nulla. L’influenza che i Monsù hanno avuto sulla cucina popolare siciliana è straordinaria perché ha superato la divisione fra la cucina popolare e nobiliare creando un ponte di passaggio fra una scuola all’altra.

Il Rè della cucina aristocratica siciliana, il Timballo di maccheroni  nella crosta profumata di burro e zucchero ripieno di ragù di carni bianche e rosse reso ancora più prezioso dal tartufo e ammorbidito dalla crema leggermente dolce condita con un pizzico di cannella, nonostante svariate declinazioni che cambiano da cucina in cucina, non cambia. Rappresenta la decadenza  della società baronale siciliana nel momento del suo massimo splendore, costretta a piegarsi agli inevitabili cambiamenti ma determinata di restare fedele a se stessa.

Monsù Gaston, il cuoco del principe di Salina poteva seguire questa ricetta:

  • 400 ml sugo di carne, va bene l’estratto,
  • 1/2 pollo lessato,
  • 100 g funghi freschi o surgelati,
  • 100 g fegatini di pollo,
  • 200 g prosciutto cotto, tagliato a striscioline,
  • 100 g di salsiccia,
  • 120 g pisellini mignon, lessati al dente

 

  • 500 g maccheroni
  • parmigiano grattugiato
  • 3 uova sode a fette
  • sale e pepe
  • un tartufo nero

Per la pasta frolla

  • 400 g di farina
  • 200 g di zucchero
  • 200 g di burro a temperatura ambiente
  •  sale e cannella un pizzico
  •  4 tuorli d’uovo

Per la crema pasticcera

  • 3 cucchiai di zucchero
  • 3 tuorli d’uovo
  • 2 cucchiai di farina
  • sale e cannella un pizzico
  • 1/2 litro di latte

Fare la pasta frolla impastando velocemente con le mani tutti gli ingredienti in modo da ottenere un composto omogeneo e lasciatela riposare un’ ora coperta con un panno in frigorifero. Procedete poi a preparare la crema pasticcera che coprirete con la pellicola trasparente fino al momento dell’uso.

Preparate poi delle polpettine, grandi come nocciole, con 200 g di carne tritata di pollo lesso mescolata a 1 uovo, 100 g di prosciutto cotto, 2 cucchiai di parmigiano, prezzemolo tritato e un pizzico di sale. Friggetele in abbondante olio e tenetele da parte. Fate insaporire in un po’di burro il pollo ed il prosciutto rimasti, tagliati a striscioline; aggiungete i fegatini, le salsicce, i funghi, le polpettine, i pisellini e cuoceteli per qualche minuto. Trasferiteli poi in una casseruola con qualche cucchiaiata di succo di carne e fate cuocere ancora per qualche minuto in modo che i sapori si mescolino bene.

Lessate nel frattempo i maccheroni molto al dente, scolateli e conditeli con il sugo di carne, il burro, abbondante parmigiano e fateli raffreddare. Imburrate una tortiera ad anello di 30 cm di diametro e ricoprite il fondo ed i bordi con un terzo della pasta frolla che avrete steso sottile, circa 1/2 cm. E’ importante che la pasta sporga un po’dai bordi in modo che con facilità possiate chiudere il timballo con l’altro disco di pasta. Disponeteci sopra metà dei maccheroni, distribuiteci sopra la finanziera di carne, le uova, spolverizzate con il parmigiano e il tartufo nero a lamelle, infine coprite con il resto dei maccheroni a cui darete una forma leggermente a cupola sulla quale verserete la crema pasticcera che farete penetrare bene. Ricoprite il timballo con la pasta frolla avanzata premendo bene i suoi bordi per farla aderire alla prima. Spennellate la sua superficie con dell’uovo sbattuto e fate cuocere per circa 45 minuti nel forno a 180 gradi. Prima di togliere l’anello, lasciatelo riposare per 5 minuti e servitelo subito.

 

Testo Marina Bodgonovic

Banner Mai Esteve

Foto di Patrizia Malomo

1 Comments

  • Mai Esteve

    24 Dicembre 2017 at 13:28

    Grazie per questo post, mi piace sempre tanto sapere da dove provengono le ricette e sapere cosa c’ è dietro! In questo caso dentro!!!!
    Mi sa che lo prendo come spunto per la cena dei “reis d’Orient”!
    Come scartare un regalo per il palato…

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