Blog post

Strano che quella che noi chiamiamo cucina di magro o di precetto, finalizzata alla purificazione l’anima attraverso l’astinenza dalla carne, si sostanzi, nell’esperienza della cucina italiana, in una molteplicità di piatti e preparazioni che poco hanno a che vedere con il digiuno e la mortificazione dei sensi.

Quasi una reazione al divieto, tra l’altro ricadente con il periodo più duro e rigido dell’inverno, dove alla scarsità dei mezzi della maggior parte della popolazione si associava al riduzione delle risorse stesse. L’obbligo di astensione indusse a ripiegare su diverse tipologie di alimenti ed ad affinare le tecniche culinarie per ottenere cibi nutrienti, saporiti e gratificanti ma rispettosi del precetto.

Quest’aspetto appare estremamente evidente soprattutto nella pasticceria. Provate a realizzare un dolce quantomeno gustoso senza uova, né grassi animali, con gli ingredienti a disposizione nel medioevo.

Eppure fiorirono piccoli, delicati, trionfi dell’arte pasticcera, ricchi e prelibati, sia pure rispettosi del precetto, frutto dell’ingegnosità e dell’inventiva e, diciamolo pure, della disponibilità delle materie  prime costose e ricercate con cui sostituire gli ingredienti vietati in tempo di Quaresima.

Allora via libera a dolci a base di pasta di mandorle, raffinati e opulenti,  squisitissime e goduriose meringhe, ricchi biscottini ma senza uova, lo stesso cioccolato che dopo una lunga diatriba fu ammesso tra i cibi da consumare in periodo di precetto attraverso l’escamotage  di ritenerlo bevanda  per cui liquidum non frangit jejunum.

Quasi che il divieto amplificasse la ricerca del piacere degustativo.

Un’opulenza di magro che però non era per tutti, limitata alle mense dell’aristocrazia e alle cucine dei conventi che già dalla fine del medioevo costituivano, per la disponibilità delle materie prime e per l’attitudine al lavoro e alla contemplazione,  le principali, forse uniche, pasticcerie al minuto.

Il popolo, poco avvezzo alla pasticceria raffinata ma rispettoso dei precetti, se poteva permetterselo, spesso arricchiva una semplice pasta di pane con un po’ di zucchero, qualche uvetta, questo era il dolce in tempo di magro e spesso anche in tempo di grasso.

Pani che si impastavano con devozione, quel timore – amore  che nasce dalla fede e dal rispetto per gli ingredienti usati che hanno un valore in sè, perchè costano tempo, fatica e denari, ed insieme simbolico e religioso.

Come il pan di ramerino ricco di simboli sacri ed implicazioni protettive, primordiali, esoteriche,  il rosmarino simbolo di immortalità, il grano e l’uva, simbolo di vita e nella cristianità di comunione, di Cristo che ritroviamo si tagli  a croce, fatti sul pane.

La tutta le fede racchiusa in un pane destinato a divenire sacro attraverso la benedizione e al tempo stesso nella sua essenzialità, un dolce particolare, unico e prelibato, quasi che la scacralità e la devozione si fossero estrinsecati in una straordinaria alchimia, che potremmo chiamare fede, permeando il dolce stesso.

Il pan di ramerino

  • 500 g di pasta di pane toscano già lievitata
  • mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva
  • un bel rametto di rosmarino
  • 150 g di uvetta sultanina
  • 50 g. zucchero
  • 5 g. sale

Mettete in una padella l’olio e il rosmarino sminuzzato, portate la padella sul fuoco per fare soffriggere il rosmarino, poi toglietela dal fuoco prima che il rosmarino annerisca e filtrate l’olio di cottura.

Mettete sul marmo di cucina la pasta del pane, fate nel centro una fossetta e in essa versate l’olio profumato al rosmarino. Lasciatelo assorbire  bene poi aggiungete, sempre nella fossetta della pasta, l’uvetta sultanina ammorbidita in acqua tiepida e strizzata, il sale e lo zucchero. Impastate bene il tutto e con l’impasto formate dei panini che farete rotolare in un pochino di olio.

Allineate questi panini unti sulla placca del forno infarinata, distanziando gli uni dagli altri e su ognuno fate una leggera incisione a croce con un coltello. Mettete la placca in un luogo tiepido e lasciate lievitare i panini, protetti e in luogo tiepido, fino al raddoppio. (usando una pasta di pane toscano realizzata con lievito madre 3 – 4 ore).

Infornateli in forno ben caldo (statico, già a temperatura a 180°) facendoli cuocere per un quarto d’ora. Devono dorare bene. All’uscita dal forno spennellarli ancora caldi con uno sciroppo realizzato facendo sobbollire per 10 minuti pari dose di acqua e zucchero.

Milena Zuppiroli – Ravioli dolci alla frutta

Vittoria Traversa – Quaresimali genovesi

Testo e foto di Anna Calabrese

Ricetta Pan Ramerino con lieve modifica da Ada Boni, La cucina Regionale Italiana, Newton, 1995

Fonti:

Liquidum non frangit jejunum e Dolci tentazioni in convento

Elah-Dufour e Taccuini storici – quaresima

Pan di Ramerino dolce tipico di Firenze e Pan di Ramerino ricette

 

Previous Post Next Post