Blog post

La trippa è uno di quei piatti popolari che accomunano gli italiani da nord a sud e da est a ovest. Cibo plebeo per antonomasia, noto sin dall’antichità, ha garantito per secoli un considerevole apporto proteico a basso costo alle popolazioni meno abbienti, che si accontentavano degli scarti dei ricchi, del cosiddetto “quinto quarto”, cioè tutto ciò che non era considerato nei quarti pregiati delle bestie macellate, come le interiora o “frattaglie”:  cervello, lingua, polmone, trippa, rognone, fegato..

Con il termine trippa si intende lo stomaco o gli stomaci  di alcuni ruminanti, in prevalenza bovini ma anche suini, ovini e caprini. Per quanto riguarda la fauna ittica, vengono utilizzati soprattutto gli stomaci di pesci di taglia importante, fra questi  la trippa di merluzzo, sia fresco che trasformato in baccalà o stoccafisso, la trippa di tonno, il maiale del mare,  quella di coda di rospo, di spigola,  di cernia e  di dentice.

La trippa bovina si differenzia in : rumine (Ciapa, Croce, Larga, Panzone), la parte più utilizzata, il primo dei quattro stomaci che rappresenta circa l’ottanta per cento di tutto lo stomaco bovino; reticolo (Beretta, Cuffia, Nido d’ape), ha un aspetto spugnoso e la sua forma ricorda una cuffia; omaso (Centupezzi, Foiolo, Libretto, Millefogli, Centopelli),  si presenta con una caratteristica struttura lamellare ovvero con innumerevoli pieghe di colore bianco che fanno ricordare un libro aperto, da cui le varie denominazioni; abomaso (Caglio, Francese, Frezza, Lampredotto, Quaglietto, Ricciolotta),  è  la parte più scura e più vicino all’intestino; di colore marrone e dalla forma che richiama un nastro arricciato.

In alcune regioni è considerata trippa anche la prima parte dell’intestino tenue del vitello e del bue, detto riccia (ricciolino o francese), meglio noto come  pajata nel Lazio.

Infine il trippino  è lo stomaco del maiale, mentre  la trippa di agnello che in Italia è usata ormai di rado,  è relegata ad alcuni piatti tradizionali abruzzesi, umbri e molisani.

Per lo più la trippa viene venduta già lavata e parzialmente cotta, e richiede poi un ulteriore tempo di cottura sia per acquistare la giusta morbidezza sia per potersi impregnare degli aromi che le conferiscono un sapore appetitoso.

NB: Attenzione alla provenienza! Meglio orientarsi su produzioni artigianali, poiché a livello industriale possono essere impiegati perossido di idrogeno o  acqua ossigenata, per sbiancare il tessuto,  e idrossido di sodio, cioè soda caustica, per sgrassare bene la mucosa!!!

Da un punto di vista nutrizionale, contrariamente a quanto si possa pensare, con circa 100 Kcal per 100 g, la trippa in sé è un alimento ipocalorico e altamente nutriente  a maggior contenuto di proteine e con una porzione minima di grassi. E’ inoltre buona fonte di minerali, soprattutto sodio,  calcio, fosforo  e vitamine del gruppo B e C.  Tuttavia la sua digeribilità è più faticosa a causa dell’abbondanza di tessuto connettivo elastico ma ancor di più se preparata, come da tradizione, con condimenti grassi e pesanti.

Declinata in vari modi, semplicemente in insalata o fritta ma soprattutto in umido, con pomodoro, fagioli, pancetta, carne trita, patate per ispessire il brodo e varie verdure  o aromatizzata con erbe  e spezie per coprire il suo gusto forte; che sia primo piatto, zuppa, secondo piatto o street food, la cultura della trippa è profondamente radicata nelle cucine regionali italiane soprattutto di Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Molise e Sardegna.

E’ interessante notare come il buon Artusi, pur ritenendo la trippa “un piatto ordinario…poco confacente agli stomachi deboli e delicati..” gli dedica ben quattro ricette fra cui una singolare “trippa legata colle uova”!

A Milano si chiama buseca e viene preparata in umido con pomodoro, pancetta e fagioli bianchi, in altre città lombarde come Mantova, Brescia e Bergamo si profuma con varie spezie fra cui zafferano, chiodi di garofano e cannella.

Anche in Liguria si trova prevalentemente cucinata in umido. A Genova, con l’eventuale aggiunta di  funghi,  prende il nome di sbira, da sbirro, perché costituiva il rancio delle guardie dei prigionieri della Repubblica di Genova, chiamati sbirri.

Singolare la trippa di Moncalieri, in Piemonte, di probabili origini galliche, che viene pressata fino a formare una sorta di salame da tagliare a fette.

In Toscana, Firenze la fa da padrona per trippa, lampredotto e altre frattaglie che vengono vendute pronte da mangiare, presso mercati o chioschi fissi e ambulanti. In modo particolare il panino con il lampredotto con la sua salsa verde, è uno street food che gode di grande popolarità anche fra i turisti che arrivano a Firenze da tutto il mondo, soprattutto gli asiatici. La trippa alla fiorentina classica viene cucinata essenzialmente in umido con verdure e pomodoro ed eventualmente con l’aggiunta di carne trita.

La senese predilige centopelli e cuffia e viene arricchita con salsiccia e in passato ci si metteva pure uno zampuccio!  La lucchese si contraddistingue per l’aggiunta di scorza di limone ed eventualmente un tocco di cannella.

La trippa alla parmigiana, come dice il nome, richiede, oltre agli odori classici e la passata di pomodoro,  una generosa grattugiata del nobile formaggio.

Aglio e lardo in aggiunta al battuto di base per la romana, mentuccia a profumare e pecorino romano a go go alla fine.   Napoli si contraddistingue per la trippa al sugo con pomodoro, basilico, peperoncino e spolverata finale di  parmigiano o pecorino, ‘a zuppa ‘e carnacotta, un piatto antico e poverissimo,che  prevede trippa mista, freselle o pane raffermo, alla fine un po’ di pepe e parmigiano a piacere. Infine la  zuppa marescialla, in origine molto simile alla zuppa ‘e carnacotta, prevedeva, oltre alla trippa mista, in particolare centopelli e lampredotto, l’aggiunta di erbette e spezie; oggi si aggiungono anche pomodorini del piennolo, carote, sedano, e patate. Una volta cotta, va tagliata a striscioline molto sottili. Pare che il termine  marescialla derivi dalla similitudine del centopelli tagliato a listarelle con i galloni militari. Nei quartieri popolari queste zuppe di frattaglie venivano preparate in una bottega detta ‘o carnacuttaro o distribuite dai venditori ambulanti, detti ventraiuoli

Trippa di tonno in umido con le patate, Carloforte

La trippa alla perugina annovera fra gli ingredienti la buccia dell’arancia, come il limone è consuetudine molto frequente in quella di maiale, sempre in Umbria. Alloro, peperoncino  e anche melanzane per la trippa d’agnello in Calabria.  Infine in Sardegna notiamo l’aggiunta di zafferano e nel soffritto più verace, lo strutto. A Carloforte, la patria del tonno, troviamo la trippa di tonno in umido con le patate.

Infine, la trippa, come molte altre frattaglie, conta estimatori anche nella ristorazione contemporanea. Ne è emblema recente “il nido dell’ape”, un piatto creato dalla chef Cristina Bowerman per Identità Golose 2016, adottato come immagine del convegno.

 

Testo e foto piatti di trippa Cristina Galliti

Foto trippe crude dal web

Crediti fotografici Il nido dell’ape: F. Brambilla-S.Serrani

Previous Post Next Post