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Un dolce di altri tempi, leggero e delicato, che coniuga in se raffinatezza, semplicità e tradizione. Ha il fascino di un piatto vintage, tremolante, ma liscio e vellutato al palato. Non sfigura certo sulla tavola delle feste o ad un avvenimento importante, come il Crème Caramel che si vocifera sia il fratello d’Oltralpe che ha goduto di più fortuna e notorietà.
Una preparazione semplice a base di ingredienti sempre disponibili nelle cucine di una volta: latte, uova e zucchero.
Di origine decisamente incerta, le voci sul significato del nome e della provenienza si rincorrono ormai da secoli, è entrato ufficialmente a far parte dei piatti della tradizione italiana quando il “solito” Pellegrino Artusi lo ha inserito nel suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” già nella prima edizione del 1891.
Diverse ipotesi sono state formulate per comprendere la provenienza di questa ricetta, di certo la sua esistenza risale all’epoca dell’antica Roma, sotto forma di una preparazione non dolce, successivamente raffinata e addolcita aggiungendo il miele.
Per quanto riguarda invece il nome, ci sono diverse interpretazioni tutte legate alla navigazione, ai marinai portoghesi e a Cristoforo Colombo ed è probabilmente a causa di un’incomprensione che i marinai portoghesi chiamavano il dessert “latte alla genovese” e quelli italiani “latte alla portoghese“. Oppure con molta probabilità una delegazione portoghese in visita alla famiglia Medici, portò con se il dolce in dono, ecco perché la ricetta si è diffusa principalmente nelle zone di Firenze e Siena, dove la tradizione di questo piatto è molto radicata.
Merita una citazione anche l’ipotesi goliardica che sia stato chiamato così perché i fiorentini, erano così abili a mangiarlo senza pagare un fiorino e quindi “alla portoghese”.
Esistono diverse varianti regionali di questo dolce, molto diffuso nella zona del piacentino/parmense dove prende il nome di “Latte in piedi” (e dove è presente sin dai tempi della corte di Maria Luigia), si intende latte tenuto in piedi semplicemente dalle uova. Si può gustare a Bologna chiedendo un “fiordilatte ” o in Romagna nella sua versione di “latteruolo” servito con la pasta matta, come indicato anche dall’Artusi stesso, veniva offerto dai contadini al loro padrone durante la celebrazione del Corpus Domini.
Nomi diversi, ma versioni più o meno simili. Le ricette si differenziano principalmente nell’uso delle uova, solo tuorli, intere e intere e tuorli; secondariamente nella scelta degli aromi: vaniglia, scorza di limone, chicchi di caffè. Artusi propone tre diversi odori, di vaniglia, di caffè o di coriandoli (cardamomo).
Un discorso a parte merita poi la cottura. Artusi infatti raccomanda di “cuocere il dolce a bagno-maria con fuoco sopra” non spiega però ne dove né per quanto tempo. Considerando però l’epoca, è molto probabile che lo stampo venisse messo a bagno in una casseruola avvolta dai carboni caldi del fornello. E con “fuoco sopra” si intendesse l’abitudine di porre della brace sopra ai coperchi che chiudevano le pentole.
L’uso di “uno steccolino di granata” da inserire nel dolce, oggi meglio ancora una lama, resta il miglior metodo per verificarne la cottura. Se esce pulito il dolce è pronto.
Per quanto semplice nella preparazione, questo dessert racchiude un’ insidia nella cottura. Richiede infatti tempo, cura e attenzione. Poiché se cuoce a calore elevato o per troppo tempo tenderà ad avere un aspetto spugnoso con diverse bollicine. Ciò non comprometterà soltanto l’aspetto puramente estetico, ma anche il gusto, invece di essere liscio e vellutato al palato risulterà invece grumoso e con un eccessivo sapore di uovo.
Passando alla ricetta vera e propria bisogna ricordare che Artusi presenta il Latte alla Portoghese (ricetta n. 693) successivamente al Latte Brulé (ricetta 692), con cui condivide la preparazione e cottura eccetto l’aggiunta di “zucchero bruciato” nel composto.

LATTE ALLA PORTOGHESE

Ingredienti:

1 l latte fresco intero

180 g zucchero

8 tuorli

2 albumi

1 bacca di vaniglia

In una casseruola versate 100 grammi di zucchero, il latte e la bacca di vaniglia. Fate bollire lentamente per 60 minuti, schiumando la pellicina che si formerà in superficie, finché si ridurrà di circa la metà e lasciate era freddare. Fate sciogliere il restante zucchero in una tegame, oppure per i più abili direttamente nello stampo, senza mai mescolare. Quando avrà raggiunto un colore ambrato, versatelo nello stampo, rigirandolo in modo da coprirlo completamente

Filtrate il latte attraverso un colino per eliminare eventuali grumi. Sbattete i tuorli con gli albumi fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso (qualche minuto). Aggiungete il latte al composto di uova, mescolando molto delicatamente. Versate il composto nello stampo.

Trasferite lo stampo all’interno di una teglia più grande che riempirete di acqua (possibilmente calda) fino a metà altezza. Cuocete in forno caldo a 170 gradi in ,modalità statico, per circa 50-60 minuti o fino a quando inserendo la lama di un coltello non esce pulita. Se la superficie dovesse scurirsi coprite con un foglio di alluminio.
Lasciate raffreddare nello stampo fuori dalla teglia e a temperatura ambiente. Poi trasferite in frigorifero per circa tre o quattro ore.
Al momento di sformarlo, passate con delicatezza una lama tutto intorno allo stampo, appoggiate il piatto da portata sullo stampo e con un movimento veloce girate il dolce. Se non dovesse scendere subito, battete leggermente sul fondo finché non lo sentirete staccarsi.
E ora non vi resta che degustarlo.

 

Testo di Ilaria Talimani

Foto di Monica De Martini

 

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