Blog post

La cornice è quella degli splendidi chiostri dell’Annunciata di Abbiategrasso, l’occasione una delle domeniche in Ambasciata del gusto, gli spettatori- se così si può dire- sono alcuni blogger del Calendario e gli attori lo chef Lorenzo Lavazzari accompagnato dal maestro Haruo Ichikawa… nasce così un incontro di quelli che restano impressi nella memoria e nel cuore perché immediata è la sintonia di pensieri, priorità e passioni.

Ti definiscono agri-chef: la tua attività infatti si divide fra agriturismo ed il ristorante, Liguria e Lombardia. Due facce di una stessa passione per il territorio ed i suoi ingredienti: come dialogano tra loro le tue due attività? Cosa raccontano di Lorenzo Lavezzari?

In Italia abbiamo un territorio speciale. Da Bolzano a Lampedusa abbiamo delle materie prime uniche la mondo: riuscire a valorizzare le materie prime del territorio e riuscire a portare a Milano alcuni prodotti sia del mio agriturismo in Liguria che di altri amici produttori è un modo diretto per far conoscere produzioni ed eccellenze italiane. L’attenzione agli ingredienti è proprio la strada che la nostra cucina deve perseguire: agli chef, ormai, i prodotti arrivano già pronti per essere cucinati, il loro ruolo in cucina si riduce alla cottura ed all’impiattamento. Si è persa quella fare che fino a vent’anni fa in cucina si faceva: mi viene in mente Aimo Moroni che alle cinque di mattina andava al mercato per scegliere personalmente i prodotti. E’ importante privilegiare la dimensione piccola del locale: quando si fanno 150 coperti al giorno tutto si standardizza. Se ci si guarda in giro si nota che i piatti sono uguali, più il ristorante è grande più si perde la possibilità di trasmettere la propria personalità e passione. Io ho un locale da 10 coperti: non diventerò miliardario ma lavorerò con il sorriso, avendo tempo per stare con i miei figli… Se lo chef non è stressato anche il cibo ne trae vantaggio. E’ l’umanizzazione che ormai in tutto si sta andando a perdere: se si danno le stesse materie prime a persone diverse, il piatto e i suoi sapori cambiano. In Giappone i locali sono piccoli e curati, c’è un rapporto umano fra cliente e chef. Quando sono stato in Giappone con il maestro ho visto posti con otto coperti e da lì mi è venuta l’idea del mio locale dove il menù cambia ogni mese circa ed è fisso: si viene da me sapendo già cosa si mangia. È un concetto diverso: alla sera noi abbiamo dieci persone a cena e ci mettiamo il cuore per quelle dieci persone, da noi è come venire a casa dello chef.

Quale è la realtà italiana degli agriturismi e delle piccole produzioni di qualità?

È un discorso infinito. Mio padre che lavorava a Milano prese un pezzo di vigna, un pezzo di uliveto… e si è ritrovato con della terra ed ha aperto un agriturismo. Il discorso degli agriturismi è bello e vero quando è efficace ossia legato al territorio. Poi ci sono molti agriturismi che si forniscono fuori di cibo e non producono nulla.  Il controllo sul territorio si è perso: bisognerebbe seguire un po’ di più le regole che governano il settore Noi produciamo miele, olio… e quello che non produciamo lo prendiamo da produttori locali attenti: così si crea quel legame col territorio fondamentale e produttivo.

Quest’anno con il maestro Ichikawa hai vinto il Giro tonno di Carloforte: ci racconti questa esperienza ed il tuo incontro con il maestro?

Per i giapponesi il tonno è importante. Quando lavoravamo al Iyo insieme siamo stati chiamati nel 2014 e 2015. Il primo anno abbiamo vinto il premio più importante, il secondo anno quello della giuria popolare. Quest’anno siamo stati richiamati e tornare a Carloforte, luogo in cui dove si lavora con il miglior tonno al mondo, ed è stato bello. Abbiamo proposto un piatto di pasta giapponese e tonno: la sfida è stata subito accettata. Siamo arrivati carichi ma non ci aspettavamo di ottenere il successo che abbiamo avuto ma questo è nato dal fatto che il nostro piatto è nato dal cuore: era semplice perché esaltava i prodotti. Il tonno in altri piatti veniva associato a tantissimi ingredienti e preparazioni e all’assaggio non si sentiva. La semplicità è vincente. Il primo anno abbiamo fatto un piatto molto fusion, l’anno dopo uno street food, quest’anno abbiamo pensato di tornare alla tradizione e di portare una pasta in brodo, in questo caso era quella giapponese, e questa cosa è stata vincente. Dobbiamo far tutti un passo indietro: preparare cibi buoni senza mille germogli, colori e d impiattamenti che poi il piatto è più bello da vedere che mangiare.

Abbiamo parlato del pesce di mare; cosa mi dici invece di quello d’acqua dolce: lo utilizzi? In Giappone è usato? 

In Giappone c’è la carpa che viene proposta cruda in sashimi oppure un piccolo pesce tipo anguilla di fiume molto buono che si butta vivo in pentola. La cucina giapponese cambia da una prefettura all’altra: si ha un’infinita di proposte. È nata come una cucina povera con ingredienti semplici e a buon mercato.  Come da fino a cinquanta anni fa non c’erano celle frigoriferi e i camion che hanno portato ad una commercializzazione forsennata del pesce di mare che sta distruggendo i mari. Il Giappone è montuoso e ha molto entroterra: il pesce d’acqua dolce molto usato.

Bisogna abituarsi a lavorare e a cucinare in modo diverso: tornare ad usare prodotti un tempo abituali e ora tralasciati perché è proprio compito dello chef esaltarli. Il salmerino, ad esempio, è un pesce molto buono: facevo una terrina di salmerino e fois gras che era buonissima

Ci racconti il tuo progetto di ristorante?

Ho inaugurato il locale un anno fa. Fino a 31 ani facevo l’arredatore d’interni, poi ho scelto di cambiare lavoro e seguire la mia passione: cucinare mi è sempre piaciuto. Dopo undici anni di lavoro stressante nei ristoranti mi sono reso conto che non faceva per me sia perché non avevo più un momento libero sia perché non riuscivo più a trasmettere positività nei piatti. In quel periodo era molto di moda lo chef a domicilio e così ho pensato di fare il contrario, fare venire le persone a casa mia in un tavolo sociale. Quando si è liberato un locale vicino a casa mia ho deciso di prenderlo e di aprire lì il mio locale che come idea è molto giapponese. Ho voluto ricreare un social table in cui si può assaggiare la mia cucina riuniti intorno ad un unico tavolo. L’idea è vincente perché le persone per qualche ora dimenticano i cellulari, si godono la serata parlando e gustando buon cibo; a fine cena vado al tavolo e parliamo insieme. Alla fine della sera lascio un foglio comune in cui i clienti lasciano i loro commenti: lo appendiamo al nostro lampadario ed è il nostro Tripadvisor.

Quali sono i tuoi piatti della memoria?

Penso sempre che se fossi su un’isola deserta vorrei gli spaghetti con il pomodoro che preparava mia mamma, il vitello tonnato e… la Nutella! Ma come dimenticare lasagne, tortellini in brodo, parmigiana… insomma tutti i piatti della tradizione.

Quali sono i tuoi progetti?

Per ora mi concentro sull’agriturismo ed il mio locale; mi piacerebbe, però, andare in Giappone con il maestro Ichikawa per promuovere il legame fra la cucina mediterranea e quella giapponese.

Cosa dovrebbe imparare la nostra cucina da quella giapponese?

La pulizia, la cura nel trattare le materie prime ed il rispetto per chi lavora con te e per il cliente.

 

Lorenzo Lavezzari ci ha regalato una delle sue ricette: perfetta sintesi del suo approccio alla cucina e agli ingredienti

Ris-Otto, ragout di seppie al nero, mango e lime

Dosi per 6 persone

  • 400 g riso Carnaroli Riserva San Massimo
  • 200 ml succo di mango
  • 2 seppie grandi
  • 1 lime
  • 1 scalogno
  • 2 foglie alloro
  • nero di seppia q.b.
  • brodo di pesce
  • concentrato di pomodoro q.b
  • olio evo “La Carreccia
  • sale q.b.

Fate soffriggere in poco olio lo scalogno, l’alloro e le seppie pulite e tagliate a pezzetti; sfumate con un po’ di brodo di pesce e aggiungete 50 gr di concentrato di pomodoro e 4 cucchiai di nero di seppie.
Tostate il riso con poco sale grosso e poco olio extravergine; aggiungete restante brodo di pesce. A 3/4 della cottura aggiungere il ragout di seppie.

Pulite, sbucciate il mango e frullatelo on modo da ottenerne una salsa omogenea.

Una volta che il riso è cotto, togliete dal fuoco e mantecate con olio extravergine di oliva. Servite disponendo su ogni piatto il riso e aggiungete la salsa di mango e una generosa grattugiata di scorza di lime.

 

Intervista di Laura Bertolini

Credits foto piatti e ritratto Lavezzari : Carlo Fico ph.

Ristorante OTTO

Associazione Maestro Martino

 

Previous Post Next Post