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Decisamente l’anonimo cuoco piemontese specializzato a Parigi, autore dell’omonimo libro stampato a Torino nel 1766, ha delineato uno spartiacque nella storia dei ricettari e della gastronomia italiana. Prima di lui il tripudio delle mense nobiliari, dopo l’oculatezza della cucina borghese.

Ho procurato di schivare la grande spesa ed adattarmi ad un metodo semplice, e proprio, lasciando in disparte ciò, che pareva fatto solamente per le cucine de più opulenti, se il gusto vi perde alcuna cosa la sanità dell’incontro ne troverà notabile giovamento.

L’attenzione passa dalla fastosa opulenza e diciamolo pure spreco dei convivi nobiliari si risolvevano spesso nella rappresentazione, quasi ostentazione, del cibo più che nella sua degustazione a una cucina ragionevole, sana, pratica ed oculata propria della borghesia,.

Un’opulenza “etica” propria delle classi agiate, nella quale il cibo è visto nella sua funzione principale ed accessoria il nutrimento e il piacere. Cibo nella sua corposa saporita sostanza e mai nella sua rappresentazione iconoclastica.    Nel ‘700 capitava spesso che i cuochi piemontesi, o per meglio dire i mastri di casa, dei manager diremmo ora delle case della ricca borghesia, lavorassero per periodi più o meno lunghi in Francia per perfezionarsi alla cucina francese.

In quegli anni l’Europa s’inchinava deferente all’assunta superiorità della cucina francese che aveva scavalcato anche gli Urali, nobile non poteva dirsi se non chi aveva nelle sue cucine un monseur. E i cuochi francesi in trasferta si arricchivano e prolificavano.

Sfruttando la vicinanza geografica spesso i cuochi piemontesi  andavano a sciacquare i loro mestoli in Senna riportando però in patria la Francia,  riproducendo cioè per i loro padroni le ricette francesi tout court, come cuochi francesi a buon mercato.

Il nostro anonimo al contrario adatta le tecniche e le ricette ma anche la nuova etica culinaria, borghese, appresa in Francia gli ingredienti e ai gusti piemontesi creando una cucina tutta nuova dove la tecnica è finalizzata al rispetto e alla valorizzazione degli ingredienti e soprattutto dei dei gusti italiani dei commensali, una cuisinier moderne alla piemontese. Una rielaborazione con tecniche francesi di piatti della tradizione piemontese consapevole che obiettivo primario della cucina è mangiare e non meravigliare.

Questo libro non esce da una accademia ma da una cucina. Non propongo regole di ben dire ma di ben condire. Vivete felici.

La sintesi di tutto questo è tra l’altro nel brasato al barolo. Un piatto della tradizione contadina piemontese caratterizzato dalla lunga cottura sotto braci, brasi, da qui brasato, di pezzi di carne di seconda scelta, più duri, che per intenerirsi abbisognavano di una cottura lunga e dolce, viene rielaborato con l’impiego di tecniche francesi, diventa nel libro del nostro anonimo culotta alla braise, che in questa versione ancora prevede l’impiego di vino bianco. Ci penseranno altri anonimi ma pratici cuochi, ispirati dal rosso del borgogna del boeuf bourguignon, ovviamente molto prima che la ricetta fosse codificata da Escoffier, ad annaffiare le loro braise con il rubino piemontese, il barolo.

Brasato al barolo

ingredienti per 6 persone

  • Una costata di manzo da circa 1,500 Kg (in alternativa cappello del prete o piccione di manzo)
  • 1 litro di barolo
  • carota
  • mezza cucchiaiata di fecola di patate
  • lauro
  • sale
  • pepe in grani
  • burro
  • grasso di prosciutto
  • sedano
  • cipolla

Questa preparazione richiede un’operazione preliminare che va compiuta il giorno avanti.

Disponete la costa di manzo in una terrinetta ovale e versateci sopra una bottiglia di barolo, aggiungete una cipolla tagliata a grossi pezzi, una costola di sedano in fettine, una carota in dadi,  una foglia di lauro, un pizzico di pepe in grani. Niente sale. Lasciate la costa in marinaggio per 24 ore, voltandola a lunghi intervalli. Trascorso questo tempo, toglietela dalla marinata, asciugatela con una salvietta, poi legatela per mantenerla in forma, mettetela in una casseruola con un po’ di burro e grasso di prosciutto e fatela rosolare da tutte le parti.

Intanto passate da un colino il vino della marinata liberandolo dagli aromi, raccoglietelo in una casseruolina e lasciatelo bollire fino a che non si sarà ridotto a metà. Condite allora la costa, ben rosolata, con  un po’ di sale e bagnatela con il vino, unire gli ortaggi della marinatura.

Coprire il recipiente e lasciar finir di cuocere su fuoco molto moderato per altre due ore e più, anche tre nel caso di cappello del prete o piccione. La carne dovrà risultare morbidissima. Quando la costa sarà cotta e la salsa ben addensata, estraete la costa, liberatela dallo spago e accomodatela su un piatto da portata,  tenetela al caldo.

Intanto frullare il fondo di cottura e ancora caldo versatelo sulla carne.

Caratteristica di questa preparazione squisita è che la carne deve risultare stracotta, tanto da poter essere servita senza bisogno di ritagliarla col coltello, ma al cucchiaio.

 

Testo e foto di Anna Calabrese

Ricetta con qualche modifica da: Ada Boni, Il Talismano della Felicità, Casa editrice Colombo, 1987

Fonti consultate

Brasato Barolo e Cucina Borghese

Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, Torino 1766, consultato su Accademia Barilla

 

 

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