I cappellacci ferraresi
Il Calendario ha presentato la ricetta “firmata” per il tortello di zucca mantovano di Nadia Santin e la bella intervista in merito a Vanni Righi, ha poi proposto un altro paio di ricette casalinghe con lievi varianti ed ha pure lanciato un contest per ricette preparate con i suoi ingredienti tradizionali, come una terrina di zucca o una lasagna alla zucca.
Ma esiste da sempre una sorta di rivale del celeberrimo tortello di zucca mantovano, che vanta una altrettanto antica tradizione e simili nobili origini: è il cappellaccio di zucca ferrarese, che si dice sia nato alla corte ferrarese dei duchi d’Este, contrapposta a quella mantovana dei Gonzaga grossomodo nella prima metà del XVI secolo.
Nonostante oggi sia una preparazione alla portata di ogni buona ‘zdora, di certo non si tratta di un piatto “povero” o di origine contadina, dato che ce ne parlano trattati di cucina sia mantovani che ferraresi a partire dalla metà del ‘500. Si tratta di testi, impegnativi da redigere e da pubblicare, che si occupavano solamente di cucina di corte, per nulla interessati a tramandare le abitudini culinarie popolari ma piuttosto a mostrare al mondo della nobiltà quanto sfarzosa e raffinata fosse la mensa del proprio signore.
Inoltre la complessa arte di creare tortini ripieni è da sempre decisamente nobile, come soprattutto tipica della cucina conventuale era la preparazione dei delicati amaretti. Ed erano molto costosi gli ingredienti della farcia, come la zucca, ortaggio relativamente raro perché arrivato dall’America da pochi decenni, le spezie, ai tempi sempre di importazione dall’Oriente. Gli stessi amaretti erano a base di mandorle, provenienti da “fuori stato”, e, appunto, di prezioso zucchero di barbabietola, una tra le spezie più costose.
Tra l’altro non c’era allora l’abitudine di differenziare piatti dolci e salati, che è una distinzione “moderna”, perché lo zucchero fino ai primi del ‘700 era considerato un aroma come un altro, che quindi addolciva anche pietanze che oggi noi pensiamo debbano essere solo salate, ed il suo successo è calato solo quando, con lo zucchero di canna proveniente in abbondanza dalle Americhe l’abbassamento dei prezzi gli ha tolto la nobiltà della rarità e l’ha diffuso anche nel mondo borghese, se non proprio contadino.
Si è così cominciata a determinare anche una differenza di palato: mentre per i popolani lo zucchero rimaneva comunque un ingrediente fuori dall’ordinario, da utilizzare dedicare solo in occasione di feste per confezionare dolci, gli abbienti scoprono i sapori più “naturali” degli ingredienti e cominciano a consumare carni e verdure con meno insapori tori e a spostare i piatti dolci verso la chiusura del banchetto.
Il gusto per il salato/dolce è però rimasto, anche successivamente, in generale nella cucina ebraica, che vantava cuochi di eccezione e che era particolarmente consolidata, tra le altre aree, in Venezia e proprio in Ferrara. Per questo si pensa che, mentre molte preparazioni nobili sono poi state abbandonate con il passare del tempo e l’evoluzione del gusto, per i cappellacci di zucca sia rimasta una particolare predilezione a livello locale, tanto che sono diffusi, con piccole varianti, in tutta la zona che vede al suo centro Ferrara e che si localizza sui confini tra Emilia, Veneto e Lombardia.
Le differenze principali tra il tortello di zucca mantovano e caplaz ad zuca, per dirla alla ferrarese, sono sottili ma fondamentali: in comune hanno zucca, parmigiano, noce moscata, sale e pepe, anche se in proporzioni un pochino differenti, ma mentre il ripieno mantovano contempla anche amaretti, mostarda di mele ed altre spezie, viene confezionato a “raviolo” piatto e condito preferibilmente con burro e salvia, quello ferrarese può avere differenti chiusure su un ripieno più semplice ma calibratissimo e viene di solito completato con il ragù ferrarese.
Di tutto questo ci parla oggi nel dettaglio la maestra sfoglina Rina Poletti, che stende sfoglia ogni giorno a mano a livello professionale da più di quarant’anni, tiene seminari di sfoglia e pasta ripiena emiliana tradizionale all’ALMA e altre scuole prestigiose ed internazionali, e da ha istituito persino la sua Accademia della Sfoglia. La mitica Rina è una persona squisita ed appassionata della sua arte e si è resa disponibile a rivelarci i segreti dei “suoi” caplaz, che mi ha anche dimostrato con un incontro nella cucina della sua casetta alle porte di Ferrara.
Partiamo dalla sfoglia: rigorosamente uova e farina 00. Senza sale, olio, semola, acqua o altre “stranezze”, che per Rina sono trucchetti inutili. Il rapporto classico sarebbe di un uovo medio per 100 g di farina, ma per la pasta ripiena meglio lasciare la sfoglia leggermente più umida, che è più difficile da stendere ma arriva ad essere più sottile e mantiene meglio l’umidità una volta stesa, quindi in chiusura non crea un “nodo” (dove la sfoglia viene giuntata) troppo spesso. Tenere comunque un pizzico di farina a portata di mano aiuta eventualmente la stesa.
Un passaggio fondamentale è il riposo dell’impasto, che prima di essere steso con il matterello “deve rilassarsi come un marito appena preso a schiaffi” (tutto ciò che è scritto tra virgolette sono sante parole della Rina!). Per cui una volta ottenuto un panetto è liscio ed uniforme, infilarlo in un sacchetto di plastica per alimenti e dimenticarselo per un’ora o più. Diciamo qui per il tempo necessario a preparare il ripieno.
La qualità della zucca è fondamentale: che sia Delica (la sua preferita) o Violina (o, io aggiungo, Mantovana… ma non l’ha detto lei!), deve essere ottima altrimenti tutto il lavoro è vanificato, quindi non lesiniamo ed affidiamoci ad un fornitore di fiducia. La zucca va cotta al forno, quando la polpa è sottile meglio utilizzare anche il vapore (o una ciotolina di acqua sul fondo del forno). Una volta fredda si eliminano con cura eventuali filamenti e la si passa al setaccio a trama larga.
Vietatissimo l’uso dello zucchero: se non è abbastanza dolce di suo significa che abbiamo scelto la zucca sbagliata! La si condisce poi con pochissimo sale, una grattata di noce moscata molto abbondante, una decisamente più scarsa di pepe… e il caplaz classico si fermerebbe qui, se non che lei, per suo gusto personale, profuma anche con un accenno di amaretti sbriciolati e scorza di limone grattugiata finissima. Si aggiunge quindi il parmigiano, che è il passaggio più delicato perché non deve sovrastare il sapore della zucca.
Per questo, se la farcia risultasse troppo morbida, non va aggiunto altro formaggio ma piuttosto poco pangrattato, meglio casalingo e prima leggermente tostato. Rina non da dosi esatte perché, in base alla varietà della zucca, alla sua dolcezza ed alla sua umidità da cotta, le proporzioni degli altri ingredienti possono variare anche di molto. Il suo consiglio è di aggiungere ogni ingrediente poco per volta, regolandosi sul gusto personale per cercare un equilibrio ottimale sia per sapore che per sodezza.
Per la chiusura del cappellaccio, due sono le scuole di pensiero. La più classica attualmente è ritenuta quella a grosso tortellone, che si dice abbia origine popolare, quindi relativamente recente: si parte da un quadrato di sfoglia largo 4 dita che viene prima chiuso a triangolo sopra il ripieno, poi saldato sulle due estremità più appuntite della base esattamente come un tortellino di carne bolognese, solo in formato maggiore.
L’altra chiusura oggi si vede più raramente ed è la più antica, risalente alla corte estense dove si definivano “tortelli” tutte le preparazioni che si racchiudevano tra due strati di pasta, comprese, frolle, pasticci eccetera, e che di solito si chiudevano con uno smerlo decorativo. La formatura è simile ma si parte da una sfoglia da meno di tre dita che viene tagliata con una rotella smerlata, per ottenere un “tortellino” più piccolo, elegante, e più laborioso del rustico “cappellaccio” popolare.
In ogni caso i cappellacci vanno lessati in abbondante acqua salata che bolla in modo non troppo violento, e devono cuocere per circa 3 minuti da quando vengono a galla, e poi scolati con un ragno e passati nel tegame con il sugo.
Infine il condimento: il ragù ferrarese assomiglia a quello bolognese ma è molto più scarso di pomodoro. C’è chi a pancetta e polpa di maiale sostituisce salsiccia, ma Rina non concorda!
CAPPELLACCI DI ZUCCA ALLA FERRARESE
DI RINA POLETTI
ingredienti per 4 persone
per la sfoglia dei tortelli
2 uova medie, possibilmente a tuorlo giallo
195 g circa di farina 00, possibilmente quella per pasta fresca/sfoglia emiliana (Rina usa Molino Pivetti)
farina per la spianatoia e semola per il panno
per il ripieno
600 g di zucca, pesco al netto di buccia e semi
2 o 3 cucchiaiate di parmigiano grattugiato
La scorza di ½ limone non trattato
1 o 2 amaretti
noce moscata
sale
pepe nero al mulinello
(ev. pane grattugiato)
per il ragù x 4
200 g di carne di vitello macinata
200 g di carne magra di maiale macinata
100 g di lardo o pancetta grassa
1 cipolla
1 carota
1 gambo di sedano
200 g di pelati o passata di pomodoro
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 bicchiere di vino rosso giovane, tipo sangiovese
50 g di burro
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
sale
pepe nero al mulinello
Per prima cosa impastare la sfoglia, formando una fontana di farina e rompendo al centro le uova; rompere con una forchetta e incorporare gradualmente la farina, poi raggruppare le briciole di impasto con un tarocco e infine impastarle a mano un un’unica massa liscia. Far riposare qualche minuto poi lavorare energicamente fino ad ottenere una palla liscia ed uniforme. Coprirla come detto e far riposare.
Per il ragù tritare le verdure, appassirle dolcemente nell’olio, poi aggiungere le carni, poco per volta in modo che abbiano modo di rosolarsi bene e risulti schiarita in modo uniforme.
Quando si è consumata l’acqua che ha rilasciato la carne, sfumare con il vino, unire il pomodoro ed il concentrato, regolare di sale e pepe e cuocere a fiamma bassissima per circa 3 ore. Unendo se serve un po’ di acqua se dovesse asciugarsi troppo. Unire il burro a pezzetti una decina di minuti prima di spegnere.
Per il ripieno cuocere la zucca a pezzi, senza buccia e semi, in forno ventilato a 160 °C per circa un’oretta, fino a che è molto morbida e abbastanza asciutta, e lasciar intiepidire. Passarne la polpa al setaccio, salare appena ed incorporare, pochi per volta, gli altri ingredienti come spiegato sopra, regolandosi a gusto, soprattutto per amaretti e parmigiano, fino ad ottenere un composto abbastanza sodo. Tenere coperto, in frigo se non si usa subito.
Stendere la sfoglia sulla spianatoia appena infarinata fino ad ottenere un disco quasi trasparente di circa 70 cm di diametro. Per capire come farlo alla perfezione e senza troppa fatica occorrerebbe un incontro a parte con Rina, i sui consigli per spianatoia e matterello… e almeno un pochino della sua esperienza!
Tagliare la sfoglia a metà, coprirne una parte con pellicola e, per la chiusura a cappellaccio, tagliare l’altra con una rotella liscia a quadrati di circa 7 cm (o di 4,5 cm circa con rotella a lama dentata per la versione antica). Distribuirvi al centro nocette di ripieno, meglio con un sac a poche, e poi chiudere come detto sopra, disponendo i cappellacci su un telo spolverato di semola a mano a mano che vengono pronti. Ripetere con l’altra parte della sfoglia.
Portare ad ebollizione abbondante acqua, salare leggermente, calarvi i cappellacci e cuocerli come spiegato da Rina. Scolarli con un mestolo forato direttamente nel ragù e padellare un paio di minuti, in modo che si condiscano bene, prima di servire.