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I dolci dei conventi

dolci del convento

La storia della pasticceria conventuale è di fatto in Italia la storia della pasticceria poiché le monache si specializzavano in preparazioni particolari, le cui ricette restavano segretissime, tramandate solo oralmente e con l’esempio.

Ne sono un esempio i dolci presentati nel Calendario gli anni passati, come i mandorlati ed il panmelato, i tortini di
pane vecchio, i birbi, le pappardelle e la torta trappista, i funghetti dolci, le monachine napoletane e le pastine di mandorla o il couscous dolce

La ragione è presto detta: la vendita di quelle esclusivissime specialità permetteva loro di sostenersi. Gradualmente, infatti, con la laicizzazione dei beni della Chiesa, con il diminuire di donazioni ed elargizioni da parte di nobili e potenti e con l’accoglienza in convento non solo di ragazze altolocate ma anche di persone provenienti da famiglie povere, i mezzi di sostentamento erano da procurare attraverso la laboriosità delle suore, quasi sempre di clausura. E se non si ricamava… si cucinava!

Non solo quindi ogni regione o area culturale aveva le proprie specialità, ma proprio ogni monastero!
Se, per esempio, volessimo cercare di restringere il campo analizzando non dico la Sicilia ma solo i dolcetti palermitani di origine conventuale presenti in quella città prima della chiusura forzata dei conventi a causa della secolarizzazione dei beni ecclesiastici e dello scioglimento degli ordini religiosi (avvenuti in Italia tra il 1855 ed il 1866), occorrerebbe prendere in considerazione le ricette di oltre 24 conventi, ciascuno produttore di almeno una decida di differenti pasticcini!

Ma la complessità non si riduce se proviamo a scoprire i segreti di un solo convento, perché a quel punto storia e leggenda cominciano a mescolarsi e ci tocca percorrere tante strade prima di arrivare a duna ricetta certa! Prendiamo ad esempio le ravazzate del Monastero francescano di Santa Elisabetta…

Fondato nel 1551 nella piazza di Palazzo Reale a Palermo, le monache francescane inizialmente vivevano di elemosina, questuando di casa in casa, fino a che, nel 1607, abbracciarono la clausura e dovettero cercare un’altra fonte di sostentamento., che le mantenne dignitosamente fino al 1866, quando del monastero si fecero magazzini e alloggi militari. Attualmente le sue antiche mura ospitano la Questura e delle monache non è rimasta alcuna traccia, tranne la memoria dei loro dolcetti.

Le vere specialità di questo monastero, oltre ai biscotti di San Martino ed alcuni dolci comuni anche ad altri conventi, erano due: i nucatoli (dal nome arabo nukl, in generale frutta secca), dolcetti richiestissimi a Natale, sostanzialmente frolle al Marsala farcite con pasta di mandorle e glassate, e le ravazzate. E qui cominciamo a navigare a vista!

Con il termine ravazzate si definivano un tempo a Palermo delle focaccine al lardo farcite di salame e formaggio. Leggenda narra che le monache di Santa Elisabetta, solitamente esperte in rosticceria, un giorno sbagliarono l’impasto salato e decisero di farne un dolce, farcendolo di ricotta e friggendolo, senza cambiarne il nome.

Oggi tuttavia di eventuali ravazzate fritte si è quasi persa memoria, tanto che a Palermo le ravazzate sono dei panini allo strutto leggermente dolci, farciti con ragù e piselli (ma anche con besciamella e prosciutto o ricotta e spinaci). Gli stessi panini se vengono fritti per quasi tutti sono le rizzuole e solo raramente si definiscono “ravazzate fritte”. In ogni caso la farcitura è decisamente salata.

Si deve andare fino ad Alcamo per ritrovare le ravazzate con un ripieno dolce, tipicamente di ricotta e cioccolato, ma qui l’involucro è di frolla, cotto al forno e spolverato di zucchero a velo.

Se torniamo però a quanto dichiarato dalle ultime monache, nelle loro lettere degli anni ’50 o in preziosissime confidenze a familiari o studiosi negli anni ’80 del secolo scorso, e alle dichiarazioni di chi ai tempi raccolse la loro testimonianza, inizialmente le ravazzate erano un dolce molto povero: si trattava di panini raffermi bagnati nel latte, farciti di ricotta e impanati. Vi si parla addirittura di rosette, pane davvero semplicissimo.

Da quel dolce elementare ma buonissimo, che molte famiglie del popolino potevano permettersi di comprare la domenica per rendere speciale il giorno di festa, sembra che abbia preso spunto nel 1901 il pasticcere Antonio Lo Verso per creare l’iris, il celeberrimo dolce di pan brioche fritto, farcito di ricotta e cioccolato, che così nominò dopo aver assistito quell’anno, si dice, a tutte le quindici rappresentazioni dell’omonima opera di Mascagni al Teatro Massimo di Palermo.

Il dolce ebbe un tale successo che il pasticcere cambiò il nome della sua caffetteria da Lo Verso proprio in Iris e i suoi discendenti ci tengono a sottolineare che la versione dell’iris non fritto è moda recente, rinnegata dai Palermitani doc.

Dunque, come si diceva all’inizio, gran parte della storia della pasticceria italiana ha origine dai dolci conventuali. E se di ricette di iris, rizzuole e ravazzate salate sono pieni libri e web, scommettiamo che la ricetta conventuale originale ce l’abbiamo solo nei del Calendario?!

Tra l’altro tutt’ora in molte famiglie palermitane è una forma comune di riciclo farcire un pane o una brioche un po’ stantii e poi friggerli, indipendentemente dal fatto che il ripieno sia dolce o salato e indipendentemente anche dal nome che si preferisce dare a questa ricetta antispreco.

RAVAZZATE ALLA RICOTTA
DEL MONASTERO DI SANTA ELISABETTA

Per 6 persone

6 panini raffermi, comuni oppure dolci, da circa 80 g l’uno (qui 12 panini integrali da 40-45 g c.a)
500 ml di latte
500 g di ricotta di pecora, freschissima, ben scolata
300 g di zucchero
50 g di cioccolato fondente (da tavoletta, in briciole)
1 uovo grande
farina
pangrattato
olio per friggere

Raschiate la crosta dei panini, forateli sul fondo ed asportate tutta la mollica possibile, senza buttare
nulla.
Setacciate la ricotta e mescolatela con lo zucchero usando una frusta, in modo che resti bella spumosa,
poi unite le briciole di cioccolato.
Intiepidite appena il latte e bagnatevi brevemente un panino per volta, scolatelo bene e farcitelo con la
ricotta.

Richiudete il buco con la mollica un po’ pressata e il pezzettino di crosta che avevate tagliato via.
Passate i panini nell’uovo sbattuto, poi nella farina e poi nel pangrattato, infine e friggeteli in abbondante olio ben caldo per un minuto o due, fino a che sono ben dorati.
Scolate su carta assorbente e servite le ravazzate ben calde: la ricotta al morso sarà tiepida ed il cioccolato sciolto.

 

Annalena De Bortoli

 

Bibliografia:
– Maria Olivieri, I segreti del chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo, Il Genuo Editore, 2017, Seconda
edizione arricchita e ampliata 2019, ISBN 978-88-942534-6-7

 

4 Comments

  • Virò

    29 Aprile 2023 at 15:27

    Bellissimo racconto! Me ne mangerei uno subito subito!

    1. Redazione

      30 Aprile 2023 at 1:21

      Grazie mille!!!

  • edvige

    30 Aprile 2023 at 12:59

    Grazie per le informazioni. Troppo dolce per me uno solo ok prendo da qui. Grazie buona domenica

    1. Redazione

      1 Maggio 2023 at 1:35

      Grazie a Lei, buon fine settimana!!!

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