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La Cucina dell’Antica Roma
Il saggio Giulio Cesare e gli asparagi al burro

Questa volta non partiamo da un antico testo di cucina o di scienza, come abbiamo fatto spesso per omaggiare la Cucina della Roma Antica: per esempio nel 2022 con salsiccia e piselli, nel 2021 con fegato al vino e miele, nel 2020 con il formaggio alle erbe, nel 2019 con insalata di pollo uvetta e cetrioli, fricassea di pollo e sardine al forno, nel 2018 con pesce fritto e maiale nel vino, nel 2017 con le focaccine al formaggio.

Oggi partiamo dallo storico Plutarco, che scriveva attorno al 100 d.C., quando Apicio non era ancora nato. Nel suo Vite Parallele, al ritratto di Giulio Cesare condottiero e politico Plutarco affianca, da buon biografo, la narrazione di episodi volti a mostrare il carattere e la personalità di Cesare, e ad uno di questi episodi ci riallacciamo oggi per parlare di cucina.

Sembra che Caio Giulio Cesare avesse favorito il fiorire del mercato di specialità gastronomiche a Roma, pur essendo personalmente moderato nei consumi, e non aderisse pienamente alla mentalità del tempo che riteneva “barbaro” il consumo di alimenti derivati quasi direttamente dalla natura (come carne e latte) invece che dall’agricoltura (come grano e olio).

Quando, in qualità di Governatore della Cisalpina, si recò a cena dal potente milanese Valerio Leone insieme al proprio seguito, gli vennero serviti anche degli asparagi al burro, che lui apprezzò mentre i suoi ufficiali snobbarono, poiché il burro a Roma a metà del I secolo a. C. era ancora utilizzato come pomata terapeutica e non aveva uso alimentare.

E fu proprio allora che Cesare se ne uscì con la celeberrima frase: “De gustibus non disputandum est”. E chi siamo noi per contraddire Giulio Cesare? Quindi oggi si va di asparagi al burro, con una ricetta che ricostruiamo in base alle disponibilità locali dell’epoca, immaginando che non si trattasse di semplici “asparagi rosolati” e basandoci sulla storia degli ingredienti principali.

L’asparago, originario della Mesopotamia, arriva in Europa attraverso gli Egizi circa 2000 anni fa. Relativamente ignorato dai Greci, è invece molto apprezzato dai Romani, che lo battezzano asparagus dal persiano asparag, germoglio, e lo importano con apposite navi da Egitto ed Asia Minore prima di coltivarlo, come testimoniano manuali botanici del II secolo a. C, anche in Italia.

Le doti più apprezzate erano quelle terapeutiche e depuranti, ma anche la forma fallica e la crescita veloce, che li faceva ritenere afrodisiaci e beneauguranti durante i matrimoni. Apicio (Libro III, capo III) fornisce un curioso consiglio per la loro preparazione in modo che restino sodi: “Asparagos siccabis: rursum in calidam sublmittes“ ovvero: “fai seccare gli asparagi; poi falli rinvenire in acqua calda”.

La storia del burro inizia invece con i Sumeri 4500 anni fa, e viene conosciuto abbastanza presto anche da noi attraverso i territori freddi del Nord dell’immenso territorio romano, però per i Romani resta solo un cosmetico emolliente e un unguento cicatrizzante; lo si comincia a consumare come cibo solo dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

Plinio, che vive un secolo dopo Giulio Cesare, ne riporta ancora l’utilizzo come “alimento raffinato dei popoli barbari”, dove “raffinato” significa “usato solo dai ricchi”. Piccola curiosità: per la sua difficoltà di reperimento e conservazione nell’Italia di Centro/Sud, anche da noi dal XV secolo in poi viene considerato un “condimento nobile”, contrapposto ai popolari lardo e olio.

A questi due ingredienti affianchiamo per la nostra ricetta, oltre ad acqua, sale e farina di farro, anche la noce moscata e la salvia. La cucina romana era inizialmente grezza e povera di spezie fino al loro incontro con gli Etruschi, popolo gastronomicamente raffinato (come si raccontava lo scorso anno qui) che con la noce moscata, tra le altre cose, profumava il vino. Anche gli schiavi greci, catturati dopo la battaglia di Corinto (146 a. C.) e utilizzati come domestici e cuochi, contribuirono ad affinare il palato romano, tanto che Apicio cita oltre 180 tra spezie ed erbe.

La noce moscata in specifico veniva utilizzata sia in cucina sia in profumeria per il suo caratteristico aroma, mentre in medicina era considerato dai Romani un ottimo antisettico ed eccitante, mentre se ne raccomandava l’usto moderato per i suoi poteri stupefacenti, se assunta in dose eccessiva.
Tra le erbe disponibili ai tempi, invece, scegliamo la salvia: tipico e antico abbinamento al burro fuso nell’Italia del Nord ed anche oltralpe, era considerata dai Romani un’erba sacra poiché aveva poteri disinfettanti e conservanti, che contribuivano alla credenza che le sue foglie allungassero la vita.

E dopo tutta questa storia eccoci finalmente alla ricetta

Antica Roma
ASPARAGI AL BURRO
COME AVREBBE POTUTO PREPARARLI A MILANO
IL CUOCO DI VALERIO LEONE NEL 59-55 a. C.

per 4 persone

1 kg di asparagi
100 g di burro
20 g di farina di farro
5 o 6 foglie di salvia
noce moscata
sale

Mondate gli asparagi e cuoceteli per 7-8 minuti in acqua bollente salata, lasciando sporgere le punte dall’acqua e coprendo in modo che cuociano a vapore.

Scolateli ancora un filo al dente, conservandone l’acqua di cottura, e raffreddateli in acqua e ghiaccio per mantenerli verdi.

Sciogliete il burro in un ampio tegame e rosolatevi gli asparagi per un paio di minuti, in modo che si insaporiscano e diventino lucidi, quindi levateli dal tegame scolandoli leggermente dal condimento e teneteli in caldo nel piatto da portata (o nei piatti individuali).

Nel fondo del tegame dove è rimasto il burro dorato unite la salvia a pezzettini, insaporite un momento, poi versatevi la farina e fatela tostare leggermente.

Quando la farina profuma di nocciola unite circa 400 ml di acqua di cottura degli asparagi e un’abbondante grattata di noce moscata, facendo cuocere poi per 5 o 6 minuti fino a che la salsa si addensa. Verificate alla fine il sale ma non dovrebbe servire.

Nappate gli asparagi con questa salsa al burro a cucchiaiate e servite ben caldo.

Annalena De Bortoli

 

Bibliografia e sitografia
• Apicio, Manuale di gastronomia, ( c.a 400 d. C.), traduzione Adriana Bertozzi, Rizzoli, 2009, ISBN 978-88-17-02977-3
• Gianbatista Baseggio, Celio Apicio, delle vivande e condimenti ovvero dell’arte della cucina. Volgarizzamento con annotazioni, G. Atonelli Editore, Venezia, 18524
• Plutarco, Vite parallele, (circa 100 d. C.), volume IV, curatore Domenico Magnino, Utet, 2016, EAN 9788851141691
• Helen Tosini, Apicio e la cucina degli antichi romani, “Ager Veleias” 10.15 (2015)
• www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/contemporanea/panini-e-cibi-di-strada/La-cucina-del-burro/

 

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